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Attualità

CARREA, L’ULTIMO “ANGELO” DI COPPI

CESARE CHIERICATI - 18/01/2013

Carrea con Fausto Coppi

“Correre con Coppi è stata la fortuna della mia vita. Prima facevo il muratore e correvo dietro a Serse, suo fratello minore, quando lo vedevo passare in allenamento. Si diventò amici e lui mi portò da Cavanna che mi frugò ben bene i muscoli e poi disse ‘questo dobbiamo farlo correre’. Come professionista iniziai con la Bianchi nel ’49, avevo già venticinque anni”. I primi di settembre di sette anni fa Andrea Carrea detto Sandrino, classe 1924, morto di infarto settimana scorsa fa nella sua casa di Cassano Spinola (Alessandria) era salito di nuovo a Castellania per incontrare la troupe della TSI. Stavo realizzando un documentario dedicato ai gregari dei grandi campioni, italiani e svizzeri, degli anni ’40 e ’50. Ettore Milano, anche lui scomparso il 21 ottobre 2011, aveva convocato alcuni fedelissimi del campionissimo, Gaggero, Filippi, Gismondi, e naturalmente lui, Sandrino, che nella gerarchia interna alla squadra era il numero due dei gregari. Veniva subito dopo Milano che aveva preso il posto di Serse e che con Fausto divideva la camera da letto negli interminabili Giri e Tour. In quelle tante notti ne aveva misurato gli umori, le ansie che d’improvviso lo assalivano, i lunghi silenzi, l’attenzione vigile con cui la sera, prima di spegnere la luce, divorava i giornali italiani o francesi.

Si fecero le riprese e le interviste poi dopo pranzo ci sedemmo dietro la casa di famiglia dei Coppi, oggi museo dedicato ai due fratelli, all’ombra di grandi tigli accarezzati da una brezza leggera che sfiorava, più in basso, i tetti delle case di questo incredibile paese sospeso tra Piemonte, Lombardia e Liguria, miracolosamente scampato ai condomini e alle villette. Alla compagnia si erano intanto aggiunti Nino Defilippis, altro grande protagonista di quella stagione dorata del ciclismo, morto il 13 luglio 2010, e Piero Coppi, cugino di Fausto, allora sindaco del borgo.

Sotto la regia cordiale e ironica di Milano ognuno aprì il cassetto segreto dei ricordi di corsa, di fatiche, di dolori ma anche di impareggiabili soddisfazioni. Sandrino Carrea, un omone di imponente stazza fisica, il viso asciugato dal sole attraversato da un grande naso come scolpito nel legno, era il più timido e taciturno. Nei ricordi di tutti il Tour de France ricorreva come un incubo caldo, rovente. “Nel ’49 sei colli pirenaici, 40 gradi all’ombra, l’asfalto che bolliva – diceva Milano – eravamo incatramati di asfalto e di fatica”. “Vero – aggiungeva Carrea – l’asfalto si spaccava e ci finiva negl’occhi, in albergo ci si lavava con l’etere, la nostra pelle era cotta, bruciata”.

Nonostante la corporatura massiccia Sandrino era in effetti un eccellente scalatore, nelle grandi tappe alpine si faceva sempre trovare a fianco del campionissimo con un compito strategico molto preciso: tenere alto il ritmo prima che l’asfalto si drizzasse sotto le ruote. “È vero, Sandrino, sul passo e in salita andavi forte – interviene Nino Defilippis, il “Cit” che in piemontese significa ragazzino – anche nella tappa dello Stelvio (Giro del ’53) sei stato tu a preparare l’attacco, tra Bolzano e Merano tiravi come un dannato, 50-52 km di media, il gruppo spezzato in due con il grande Hugo Koblet, maglia rosa e favorito numero uno, nella seconda parte. Non riesce a decifrare lo svizzero cosa sta accadendo”. In realtà il “falco elvetico” era tranquillo, il giorno prima Coppi aveva accettato, in cambio della vittoria di tappa a Bolzano, un patto di non belligeranza sullo Stelvio.

“Sulle prime rampe – continua il Cit – restiamo in pochi, allora il Fausto mi viene vicino e mi dice ‘Nino, ti sentiresti di dare un colpetto?’. Anche se corro per la Legnano non posso tirarmi indietro, me lo chiede Coppi, attacco. E Koblet commette il più grande errore della sua vita, cerca di riprendermi, si scatena la bagarrre. Coppi ha il pretesto per attaccare, piomba sullo svizzero parte e va. Mi affianca, mi passa in una curva. Mi vengono ancora i brividi a distanza di quasi mezzo secolo. Non ho mai più vista nulla di simile, nemmeno Merckx, nessuno, mai, sembrava una motocicletta”.

E anche quel Giro, fra mille polemiche, fu del campionissimo. Sandrino Carrea, dopo aver in larga misura concorso a determinarne l’esito, a Milano fu ventitreesimo, un piazzamento che lo inorgogliva più delle otto vittorie collezionate nella sua lunga carriera chiusa nel 1958.

Lui e Milano erano stati definiti gli ‘angeli di Coppi’. “Sandrino era davvero forte, lo aiutava davvero, io ero solo un porta acqua, se c’era una salita sparivo” minimizzava sornione Milano che in realtà sapeva leggere in anticipo gli umori del gruppo, il peso delle fughe, la presenza delle fontane “E poi via anche noi avevamo il nostro interesse – tagliò corto Sandrino – col Fausto si guadagnava bene, tutto quello che la squadra portava a casa lo lasciava a noi gregari, un signore che non diceva mai ‘devi fare qua, devi fare là’, lui sapeva che facevamo sempre quello che potevamo”. Tra un bicchiere di spumante dell’Oltre Po e tante chiacchiere si era fatto tardi. Carrea disse che la vendemmia era alle porte e che lo aspettavano nella sua fattoria di Cassano Spinola. Si congedò in fretta, salì su una Panda infangata e sparì dietro la vecchia casa dei Coppi dove Ettore Milano non era mai più entrato dopo la morte del suo capitano il 2 gennaio del 1960.

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