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Lettera da Roma

LA CHIAMATA BIANCA

PAOLO CREMONESI - 15/03/2013

Via, via. Di corsa. A gruppi, da soli, a piedi, in auto cercando di parcheggiare in un Borgo impazzito. Sono donne, preti, turisti, giovani, suore e militari. Dapprima pochi, poi sempre di più: camminano svelti sotto un manto di pioggia dispettosa e fredda che non dà tregua. Intasano i vicoli, riempiono Via Gregorio VII,Via della Conciliazione, i Lungotevere. Le macchine suonano, gli autisti imprecano, i pullman bloccati fanno scendere i passeggeri. Che camminano, corrono verso Piazza San Pietro.

La notizia di una fumata bianca li ha fatti uscire dalle case, mollare quello che stavano facendo, indossare frettolosamente un impermeabile e mettersi in cammino dietro una Voce che da duemila anni instancabilmente chiama. Hanno ombrelli colorati, cellulari in mano, macchine foto al collo. Sono credenti ma anche curiosi. Scettici romani accanto a ferventi argentini. Flemmatici inglesi insieme a enigmatici giapponesi, bassi filippini con alti scandinavi. Sono grassi, magri, bianchi, di colore. Hanno bimbi al braccio ma qualcuno anche un cane al guinzaglio che spaventato cerca di non essere calpestato dalla folla che impazzita cammina sempre più svelta.

I vigili a piazza Risorgimento fanno quello che possono. Le auto sono bloccate dai gruppi che invadono le carreggiate. Le stradine di Piazza delle Vaschette, via dei Corridori,via del Falco già piene strabordano di persone come certi rigagnoli dopo un temporale d’estate che scorrono verso un lago. Ad un certo punto, come nelle feste di paese, compare anche una “banda”. E piove. “Piove governo ladro” dice il solito. Ma per ora un governo in Italia non c’è .C’è invece questa istituzione che, condotta per mano dal Signore, è capace da duemila anni e 265 Papi di richiamare nel giro di mezz’ora centocinquantamila persone ad ascoltare Uno che chiederà loro: “pregate per me”.

Piazza San Pietro ormai è colma. Da quando nel Seicento è diventata il cuore della capitale, ogni volta colpisce anche nella forma lo spettacolo dell’abbraccio dei romani per la Chiesa. Che magari sbuffano per l ‘attesa, ironizzano come al solito cinicamente, si distraggono ma provate a togliergli anche solo per qualche giorno la visione di quelle due finestre illuminate sulla facciata a destra del Palazzo papale per vedere quanto subito si preoccupano…

I minuti passano. Il freddo scende. Siamo ormai stretti uno accanto all’altro. Chissà perché mi viene in mente la folla di Tiberiade che faceva i chilometri solo per sentir parlare Gesù da lontano. Troupe televisive di mezzo mondo girano alla caccia di qualcuno da intervistare nella propria lingua. Sembrano venditori ambulanti che chiedono: ‘Do you speak…’ ‘Habla espanol…’Parlez vous…’ Tutti gli sguardi sono puntati alla loggia per scovare qualche indizio di movimento .”Giù gli ombrelli” gridano in molti. Gruppi di ragazzi ingannano l’attesa cantando. Suore e religiosi pregano. I fidanzatini si fanno la foto con lo smartphone rivolto all’indietro sullo sfondo della Basilica. Poi nel giro di pochi minuti, preannunciati da quattro faretti che si accendono sotto la loggia, il primo piano della facciata si illumina. Le tende della finestra si aprono. Escono i cardinali cerimonieri. Da lontano sono solo minuti puntini ma la voce del cardinal Touran è stentorea: “Habemus Papam!” E poi il nome, lo stupore, la preghiera, il silenzio. Il silenzio. Quando Papa Francesco lo chiede sulla piazza cala per davvero. Ma non è vuoto pneumatico. È lo spazio di una grande domanda rivolta al cielo.

Prima di essere qualcuno con un compito da svolgere, il Papa è mandato a noi perché lo si possa vedere, sentire, toccare: custode dell’Incarnazione la sua presenza fisica ci lega a Cristo. E questo i romani, anche se magari non vanno in Chiesa, lo sanno benissimo.

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