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Lettera da Roma

I RESTI DI PIETRO

PAOLO CREMONESI - 29/03/2013

Al lavoro in San Pietro, nel 1941

Veniamo da settimane in cui i mass media, a proposito ma spesso anche a sproposito, si sono occupati di Papi, Vaticano, Sede vacante, successori di Pietro eccetera. Come ha osservato un caro amico americano, oltre che commentatore tv, Lorenzo Albacete: “Nei talk show siamo invitati a parlare del Papa ma se si citano Gesù Cristo e lo Spirito Santo, sorrisetti ironici, se non di scherno, si sprecano”.

Eppure la pretesa cristiana sta tutta qui. Nella libertà di uomini che dicono ‘sì’ al disegno di un Dio fatto uomo. Testimoniato da quelli che per primo lo hanno incontrato e raccontato via via sino a noi. Proprio per questo un posto centrale nella successione al Trono di Pietro sta nella presenza o meno dei resti dell’apostolo nei sotterranei nella Basilica. Una tomba, ricorderete, al centro di un vero e proprio giallo di cui abbiamo parlato anche su RMFonline lo scorso 14 Gennaio.

Pio XII teneva particolarmente al ritrovamento del sepolcro tanto da avviare delicate ricerche archeologiche in un periodo storico tra i più turbolenti tra il 1939 ed il ’49 e addirittura con il rischio di minare la stessa stabilità di San Pietro.

La tomba, come abbiamo raccontato, venne ritrovata, con a lato un importante graffito decifrato in “Petrus eni”, ma…. vuota. Cosa era accaduto? A risponderci è la stessa Margherita Guarducci, l’archeologa che dal ’52 a scavi ormai chiusi e sino al 1965, pose il suggello alla delicata operazione voluta da Papa Pacelli.

“Era successo – ha raccontato la studiosa, scomparsa nel 1999 – che durante gli scavi gli operai, volendo indagare su questo luogo che la tradizione cristiana indicava come il luogo della sepoltura di Pietro, andarono un po’ per le spicce. A colpi di cartoccia – quello strumento adatto a piantare i pali in un terreno duro – sfondarono l’altare di Callisto II per arrivare il più presto possibile alla meta. Sotto i forti colpi una quantità di calcinacci dell’antico muro romano cadde direttamente nel loculo ricoprendo le ossa adagiate sul fondo”.

Ma questo non risolve ancora il problema della tomba vuota. Bisogna andare ad un’altra testimonianza quella di uno degli operai dell’epoca, Giovanni Segoni, così come l’ha raccolta Barbara Frale nel bel libro, edito da Mondadori, ‘Il Principe e il pescatore’: “Ogni sera a Basilica chiusa il responsabile degli scavi Monsignor Kaas (uomo di fiducia di Pio XII) faceva un giro di ispezione. Avvenne che, durante una di queste ispezioni, notasse il loculo pieno di terra frammista ad alcuni frammenti ossei. Ignaro dei problemi archeologici e della zona, per un senso di pietà per i morti ordinò che le ossa fossero raccolte in una cassetta di legno e deposte in un ripostiglio delle Grotte vaticane”.

Rimasero lì ignorate per dodici anni! A ritrovarle fu proprio la Guarducci durante una normale ricognizione. “Nella scatola di legno – racconta – c’erano delle ossa con fili d’oro e minuscoli pezzetti di tessuto color porpora. Un antropologo di mia fiducia, il professor Correnti, prese in esame il materiale e mi disse: ‘E’ una cosa strana perché gli altri gruppi che mi hai fatto esaminare erano di diversi individui, questo invece è di uno solo. Domandai: ‘Di che sesso ?’ ‘Maschile’ rispose. ‘Età’?’ ‘Senile’.’Corporatura’ ‘Robusta’. Nel ’64 gli esami furono terminati. L’anno dopo pubblicai il libro: ‘Le reliquie di San Pietro sotto la confessione della Basilica vaticana’. Due anni dopo Paolo VI annunciò pubblicamente il ritrovamento delle ossa dell’apostolo”.

La scoperta fu tutt’altro che pacifica. Come accennato nel precedente articolo Papa Pacelli attribuiva un grande valore teologico al ritrovamento delle ossa, soprattutto nei confronti di quelle confessioni, come la protestante, che tendono a sminuire l’importanza della ‘carnalità’ del fatto cristiano. Ed i ‘corvi’ nella Chiesa non si fecero attendere, cercando di denigrare il lavoro della Guarducci. Su un punto i critici concentrarono il fuoco: il ritrovamento era avvenuto all’interno di una sterminata necropoli pagana sui cui era stata edificata la Basilica. Come essere certi che quelle ossa fossero proprio di San Pietro?

In soccorso dell’archeologa giunse inaspettato l’aiuto di un grande studioso non credente Federico Zeri. Ecco come in un incontro al Centro Culturale di Milano nel 1990 racconta quanto accaduto. “Quando iniziarono a uscire le notizie del loculo e la questione delle ossa, sono sempre stato perfettamente convinto che quei resti fossero di Pietro dal fatto che erano avvolte in un tessuto di porpora e intessuto di filo d’oro. Un tessuto che all’epoca era attribuito solo alla sacra autorità massima dell’Impero, cioè all’imperatore. Penso che molte delle critiche contro la ricerca della professoressa siano state di quel tipo di critica che non si basa sui dati di fatto, quanto su una sorta di pregiudizio ideologico: lì non si dovevano trovare le ossa di San Pietro, quella non doveva essere la tomba di San Pietro. Sono cose piuttosto frequenti, quando l’argomento tratta la religione e nel caso specifico il primato della Chiesa di Roma”.

Polemica, invidia ma anche distrazione e pressappochismo, Tutti gli elementi della fragilità umana si ritrovano anche in questa vicenda: ancora una volta la storia della Chiesa è condotta per mano da Dio attraverso la nostra debolezza.

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