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Lettera da Roma

PER IL NUOVO SINDACO

PAOLO CREMONESI - 10/05/2013

Tra quindici giorni i romani vanno a votare per il nuovo sindaco in una campagna elettorale tra le più brutte e svogliate di quelle viste nei trent’anni da quando sono arrivato nella capitale. Rari manifesti per le strade (non ci sono soldi), rari passaggi nelle tv locali (idem come sopra), qualche comizio di quartiere o la classica passeggiata ai mercati rionali. Pochi slogan campeggiano su alcuni bus del TPL imbottigliato nel traffico: “Liberiamo la città” scrivono.

Sul voto tira poi un brutto vento di antipolitica che gli scandali, di cui hanno ampiamente parlato i media, alimentano sempre più. La difficoltà economica di tanti si nota ormai a occhio nudo. I politici si fanno vedere poco in giro e se lo fanno spesso finiscono nel girone delle proteste di gruppi organizzati e no.

Eppure i candidati a sindaco sono ben ventidue, quarantatre le liste. Numeri da record per la corsa elettorale che riguarda anche le circoscrizioni e si concluderà con il voto del 26 e del 27 maggio. Il sindaco uscente Alemanno punta sul lavoro svolto dall’amministrazione soprattutto in tema di sicurezza e famiglia. Il senatore Marino è uscito a sorpresa da una defatigante primaria nel PD, sul fatto di non essere uomo strettamente di apparato e vicino alla società civile. L’imprenditore Marchini, outsider della competizione, cerca di intercettare il mondo produttivo privato della capitale. De Vito, Cinque Stelle, promette mille chilometri di strade ciclabili e Trastevere isola pedonale.

C’è una sordida amarezza nella capitale, frustrata per molti, rabbiosa per alcuni. A Roma la cosiddetta ‘qualità della vita’ è ormai ferita da insoluti problemi che si trascinano da decenni. Destra o sinistra non hanno saputo o voluto affrontarli in maniera efficace.

Vediamone alcuni.

Roma ha troppe auto. È la città con più macchine e motorini d’Europa: 978 veicoli per ogni mille abitanti contro i 398 di Londra, i 451 di Parigi, i 621 di Barcellona. È cresciuto il numero di persone che, per i costi delle case, sono andati a vivere nei paesi vicini. Trecentomila pendolari in più ma con lo stesso sistema di trasporti pubblici.

Roma ha troppe case. Costruite per lo più in periferia, le abitazioni sono disabitate nel centro e nei quartieri di pregio. Dal Duemila l’incremento dello stock edilizio è stato dell’1,4 per cento contro lo 0,7 di Milano. La città cresce dove non ci sono servizi, si spopola dove funzionano. A prezzi sempre elevati.

Roma ha un enorme debito pubblico. Nove miliardi secondo le stime più prudenti. Tredici per gli oppositori. In ogni caso un macigno, frutto di tutte le amministrazioni, che vincola chiunque non voglia accontentarsi degli affari correnti. Le decisioni del Governo Letta in materia di IMU poi sono destinate, come per tutti i Comuni, a rendere il cammino del risanamento capitolino ancora più difficile.

Roma è tante città insieme. Il Vaticano, le sedi diplomatiche estere, il Quirinale, Palazzo Chigi,il Senato, la Camera. Ognuna con le sue esigenze. C’è la città storica da salvaguardare, gli eventi internazionali sportivi da ospitare, le grandi cerimonie religiose da accogliere, le manifestazioni sindacali da permettere. È possibile governare tutto con le stesse leggi?

Roma ha una enorme macchina amministrativa. Il Comune assorbe, comprese le municipalizzate, oltre sessantunomila persone (24.764 nel Comune, gli altri tra AMA, ATAC, ACEA). È come se la mattina tutta la popolazione attiva di Varese raggiungesse un ufficio con l’emblema della lupa. A fronte di questi numeri l’efficienza burocratica recepita dai cittadini è scarsa. Vista sostanzialmente come posto sicuro di lavoro (“one worker, one vote”) nessuna amministrazione ha voluto verificare se una serie di servizi non potessero essere svolti, meglio e a minor costo, dal terzo settore secondo una collaudata esperienza del welfare sociale.

Di fronte all’ampiezza di questi che sono solo alcuni dei problemi della capitale non stupisce la rassegnazione con cui i romani vanno al voto. Vedremo tra quindici giorni per chi.

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