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Lettera da Roma

UN UOMO LIBERO

PAOLO CREMONESI - 07/06/2013

Venditti tra i seminaristi della San Carlo a Roma

In questa tornata elettorale per scegliere il nuovo sindaco, Antonello Venditti ha appoggiato l’imprenditore Alfio Marchini. Ed anche se quei voti al ballottaggio sono confluiti su Marino, con un semplice gesto si è smarcato da una certa sinistra di apparato che gli va stretta. Per uno come lui che si definisce “rosso come la vita, rosso perché dentro quel colore c’è tutto: la mia storia politica, il mio travaglio, la gioia, la sofferenza” è una scelta che ha spiazzato.

Ma Venditti è così. Soprattutto libero.

L’ho conosciuto in occasione di un evento realizzato dalla ONG AVSI. Con lui c’erano Raffaella Carrà e padre Giuseppe Berton che da anni condivide in Sierra Leone le sorti dei bimbi più sfortunati.

Nel suo eremo a Colle Romano, in una piccola comunità di artisti e amici, stava incidendo “Dalla pelle al cuore”. Tra una canzone e l’altra, accettava di rispondere alle mie domande confluite poi in una lunga intervista per la trasmissione “Oggi Duemila”. Ne è nato per un certo tempo un rapporto a correnti alterne, fatto di improvvise incursioni nella redazione RAI di Borgo Sant’Angelo e di inviti tra un concerto e l’altro nella sua bella casa di Trastevere. “Sono critico con la Chiesa su diversi temi – ripeteva – ma mi spiace che vada laicizzandosi. Quando cantai “Addio mio bella, addio” alla Sala Nervi in Vaticano ammonii i presenti perché si parlava troppo di solidarietà e poco di carità. Fra le due c’è una differenza notevole. La solidarietà è basata sulla quantità, più devolvi in beneficenza, più sei benefattore mentre la carità si basa sulla qualità del dare. Durante questo discorso mi sembrò che il cardinal Ruini mi schiacciasse un occhiolino di consenso”.

Quattro anni fa cenammo alla sede di via Boccea della Fraternità San Carlo. Grazie ad un consolidato rapporto con don Massimo Camisasca (ora vescovo di Reggio Emilia) i seminaristi sono abituati alle sue visite ed alle sue osservazioni su fede, senso della vita, amore e morte. Al termine una improvvisata “Grazie Roma”.

Già perché è soprattutto Roma che spiega Venditti. E viceversa. Provate a partecipare ad un suo concerto nella capitale. I sessantenni che frequentavano il liceo quando si cantava “Giulio Cesare” sono arrivati con i figli. Ci sono notai e gente di borgata, giornalisti radical chic e disoccupati, sindacalisti della FIOM e qualche sacerdote. Gli studenti e i professori cantano insieme “Notte prima degli esami”. Può capitare di vedere salire sul palco Renato Zero per un saluto, Dodo per una imitazione. Sentir ricordare il calciatore della Roma Agostino Di Bartolomei ma anche il tifoso della Lazio Gabriele Sandri ucciso con un colpo di pistola in autostrada. E se le canzoni di Venditti sono un tappeto musicale di tutto il Paese (ha appena concluso il lungo e faticoso tour “Unica” dedicato soprattutto alla provincia perché – spiega – “in tempo di crisi non puoi costringere la gente a spostarsi”), come per certi vini che devi bere sul posto, è solo nella capitale che dispiegano tutta la loro gamma musicale e poetica.

“Le mie canzoni – spiega – accolgono la Roma del passato e del futuro, si rinnovano con la sua storia e per questo risultano attuali. Parlano della borgata e della metropoli, descrivono sia le case basse sia i grattacieli, camminano tra i confini dei quartieri e li uniscono. Quando scrivo una brevissima frase il passo per ritrovarcisi dentro lo possono fare in tanti”. Anche il sottoscritto che, dopo trentadue anni di vita nella capitale, ancora lotta per farsela amare come merita. Davvero “ci vorrebbe un amico”.

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