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Chiesa

BENEDETTO, PREGHIERA E STUDIO

GIAMPAOLO COTTINI - 14/02/2014

Chi mai avrebbe potuto immaginare fino a un anno fa che un Papa potesse dimettersi per sua libera e spontanea scelta, spiegando al mondo di “aver preso tale decisione dopo aver esaminato ripetutamente la sua coscienza davanti a Dio?”. E chi poteva prevedere che fosse proprio il fine teologo Ratzinger, uomo di grande rigore morale e di raro senso del dovere legato al proprio compito, a riconoscere di non avere più le forze adatte “per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”?

Il mondo accolse con sgomento l’annuncio contenuto in quelle scarne parole in latino con cui Benedetto XVI spiegava di non sentirsi più in grado di svolgere il suo incarico, superando la questione canonica se sia lecito ad un Pontefice dimettersi con il chiarimento che avrebbe svolto la sua vocazione in maniera diversa attraverso la preghiera e lo studio. Con questo gesto egli cambiava la storia della Chiesa, dando un nuovo significato al papato ed aprendo la strada alla novità dello stile di Papa Francesco, compiendo così il suo più incisivo atto di governo e di autorità pontificia nel distinguere tra l’esercizio attivo del governo della Chiesa (che richiede l’energia di leggere ed interpretare i repentini cambiamenti della storia) ed una paternità più spirituale che può essere esercitata sempre sino alla fine. Così ridefiniva il papato non tanto per la funzione da svolgere, quanto piuttosto per l’amore alla volontà di Dio e l’obbedienza alle circostanze in cui si manifesta la sua presenza.

A un anno di distanza si comprende meglio la grandezza di quel gesto e se ne colgono le conseguenze per il rinnovamento della Chiesa, anche se possono essere sembrate surreali le immagini dell’incontro di due Papi (uno regnante, l’altro emerito). Essi non vivono una competizione, ma testimoniano la comunione, ed anche se non conosciamo i particolari delle giornate che Benedetto XVI trascorre nella sua casa-monastero, sappiamo che non esercita interferenze sul suo successore, ma lo accompagna con la preghiera offrendo il suo contributo di studio teologico. La Chiesa ha bisogno di decisioni rapide ed energiche per rispondere ad alcune situazioni scottanti, necessita di essere governata anche nella sua struttura istituzionale, è presente in prima linea a difesa dei diritti dell’uomo soprattutto quello più povero; ma ha anche tanto bisogno di riflettere su se stessa nel silenzio e di trovare nella preghiera la fonte del proprio agire. Ratzinger ha scelto la parte di Maria, non per contrapporsi a Marta, ma per testimoniare da dove viene l’energia per poter fare tutto, ed è oggi ancora più fedele alla chiamata che Gesù rivolge a Pietro quando gli dice “seguimi”.

Così la rinuncia all’esercizio attivo del pontificato diventa segno di umiltà nel riconoscere il proprio limite fisico imposto dall’età, e testimonia che è sempre possibile rispondere alla chiamata di Dio, benché in modi diversi. Con il suo silenzio e la sua vita sobria e semplice, vissuta a pochi passi dalla residenza del suo dinamico successore, amiamo immaginare una persona anziana che vive l’ultimo tempo della sua vita terrena in una pace che anticipa il Paradiso, accompagnato dalla bellezza della musica e dal fascino delle parole dei Padri della Chiesa lette durante tutta la vita. Un uomo che alterna lunghe passeggiate per i giardini vaticani a lunghi momenti passati alla scrivania a leggere e scrivere, forse con l’intento di donarci ancora le sue nitide e limpide pagine di teologia in cui la ragione e la fede si sposano in un’armonia classica nella scia del pensiero agostiniano.

Abbiamo bisogno di Verità per fondare quella misericordia caritatevole di cui parla Papa Francesco, e bisogna stare molto attenti a non contrapporre carità a verità: senza l’insegnamento di Benedetto la misericordia proclamata da Francesco sarebbe solo un attivismo viziato dal pauperismo sociologico, mentre una dottrina teologicamente perfetta senza la paternità dell’amore verso l’uomo sarebbe solamente un’ideologia. Benedetto ha scelto di seguire la vocazione più vicina al suo temperamento, sapendo che è utile alla Chiesa, non certo per una scelta di comodo, ma in nome della pretesa della fede di comunicare la verità all’uomo.

Siamo certi, dunque, che il pontificato di Benedetto XVI non è terminato con il suo ritiro dalla scena pubblica, ma prosegue nascostamente nella generosa fecondità della donazione della sua persona, soprattutto attraverso il pensiero e la contemplazione cui sta dedicando le sue attuali giornate.

Solo nella chiesa è possibile che esistano due uomini che possano amarsi così tanto da non contrapporsi l’uno all’altro; perché la Chiesa non ha due capi come è avvenuto nei più tristi periodi degli scismi, ma conferma di essere il luogo della pienezza di comunione.

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