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Cultura

INSEGNARE A RESPONSABILIZZARSI

MARGHERITA GIROMINI - 13/06/2014

Stanchi del tormentone sui compiti delle vacanze che si riaffaccia sui giornali allo scoccare delle ferie estive.

Stufi dalla divisione del Belpaese in fazioni che rispondono a due scuole di pensiero per le quali vengono scomodati illustri specialisti: pedagogisti e psicologi, neuropsichiatri, pediatri e medici di base.

I compiti sono utili o diseducativi, i compiti sono dannosi (addirittura!) per i bambini e ragazzi che dopo un lungo anno di lavoro hanno diritto a riposare, a svagarsi, a svuotare per almeno tre mesi la mente affaticata dalle nozioni scolastiche.

Abbiamo letto di indagini conoscitive promosse dai quotidiani e dai settimanali più diffusi e, guarda caso, ecco spuntare sondaggi che danno l’Italia divisa a metà: 50% delle famiglie crede che i compiti estivi non servano a niente (disturbano il minore in vacanza e il riposo sacrosanto dei genitori), l’altro 50% ritiene necessari i compiti, convinto che non si possa stare tre mesi a giocare, cantare e ballare (come nella favoletta della cicala che cantò tutta l’estate mentre la formica accumulava per l’inverno) senza mettere mano ad un libro.

Un guru dei pediatri italiani ha affermato che i compiti estivi sono nocivi, per lui e per il 75% dei colleghi ma non viene, per ora, fornita alcuna prova scientifica del fatto. L’esperto raccoglie in rete gli appoggi incondizionati delle mamme che nei blog di mutuo aiuto si mostrano molto preoccupate della salute mentale dei loro figli sui quali incombe la mole dei compiti estivi; un po’ meno, forse, si preoccupano del tempo speso davanti a PC, TV, smartphone ecc.

I sostenitori dei compiti delle vacanze, pur essendo in buon numero, risultano piuttosto impopolari sui blog di studenti e famiglie. C’è chi dichiara di avere, a suo tempo, studiato e letto molto, e di essere vivo e vegeto; chi ricorda l’incubo degli esercizi svolti nell’ultima settimana, con un tour de force di tutta la famiglia impegnata ad aiutare a concludere il lavoro prima della campanella del nuovo anno.

Non sarò certo io a dire la parola definitiva sull’argomento: non sono in possesso di dati oggettivi sugli effetti, benefici o malefici, dei compiti delle vacanze. Anche se mi sono letta molti approfondimenti sul tema, qualcuno con titoli del tipo: “Come è stato risolto il problema in Francia? In Gran Bretagna? In Giappone?” e a seguire, lunghi trattati su quanto debbano essere lunghe le vacanze perché si possa sentenziare che è scattato l’obbligo di esercizio estivo.

Altre volte emerge l’aspetto politico: i compiti servono solo per incrementare i guadagni delle case editrici che pubblicano i cosiddetti libri per le vacanze, piccoli compendi suddivisi per classe, contenenti gli esercizi per ogni materia, che evitano di fare trasportare al mare e ai monti i pesanti tomi scolastici, spesso trasportati inutilmente nei luoghi di vacanza. E così via.

Trovo che sarebbe più interessante usare tempo e inchiostro (sia vero sia virtuale) per discutere di problemi più consistenti che, in campo educativo, certo non mancano. Vorrei provare a fornire solo un consiglio che potrebbe tornare utile a ragazzi, genitori, insegnanti. Con qualche conseguenza, come la flessione nelle vendite per le case editrici.

Perché non rendere i compiti delle vacanze, di qualunque tipo: più tradizionali, più innovativi, più creativi, pochi, tanti, personalizzati o meno, facoltativi?

Gli insegnanti forniscano le indicazioni, ciascuno per la propria materia, o tutti insieme, o un repertorio delle esercitazioni che possano aiutare gli alunni e gli studenti a mantenersi in allenamento, mentale, psicologico, affettivo ecc. ecc. Chi vuole, chi può, chi è costretto dalle famiglie, chi si è convinto della loro utilità, li svolga. Chi ritiene di non volere, di non potere, di non averne bisogno, NON li esegua. Tornati a scuola, coloro che li hanno eseguiti, li consegnino agli insegnanti richiedendo loro un parere sull’esecuzione del lavoro.

Eh no, potrà dire qualche genitore, allora i secchioni faranno di tutto per mettersi in evidenza con gli insegnanti, portando a scuola montagne di compiti svolti, e danneggeranno chi ha deciso di non fare nulla. Eh no, affermerà qualche insegnante, o tutti o nessuno; oppure, chi avrà eseguito i compiti riceverà comunque una valutazione (un bonus?) per aver dimostrato impegno e buona volontà. E gli altri?

Non andrà bene nemmeno così. Forse si continuerà a litigare divisi in altre fazioni. Può darsi, ma almeno avremo spostato il dibattito dal dilemma “compiti sì/ compiti no” ad un nuovo aspetto, secondo me più significativo sul piano pedagogico, quello della responsabilità personale.

“Io decido che fare i compiti non mi interessa perché voglio riposarmi”, oppure “Io vorrei impegnarmi a tenermi in esercizio”, o ancora “Io svolgerò queste attività oppure queste altre, in alternativa ai compiti assegnati dalla scuola”.

I bambini della primaria sono troppo piccoli per decidere autonomamente se assumersi o meno una tale decisione? I genitori li aiutino a scegliere. I più grandi decideranno di non fare nulla? A scuola ricominciata saranno in grado di capire se il mancato esercizio avrà influito negativamente sul loro rendimento. O se invece il riposo assoluto li avrà aiutati a ricostituire appieno le energie per il nuovo anno.

Anche l’esercizio della scelta personale può essere fortemente educativo in una società dove si impara sempre troppo tardi a diventare adulti responsabili.

 

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