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Lettera da Roma

I SANTI QUATTRO INCORONATI

PAOLO CREMONESI - 04/07/2014

Lasciando alle spalle il Colosseo, lungo una stradina che sale al Celio, ci si imbatte in uno dei luoghi più affascinanti di Roma. Èla Basilicadei Santi Quattro Incoronati, ora monastero di clausura agostiniano. Arrivandovi dalla tumultuosa capitale sottostante, ma pur essendo in linea d’aria a poche centinaia di metri da San Giovanni, questa fortezza medioevale, su preesistenze romane, include un’abside del IV secolo, una torre, il cortile costruito nel luogo di un quadriportico paleocristiano. Dai tempi di Carlo Magno, serviva come luogo di massima sicurezza per il Papa che, quando si sentiva minacciato, lasciava la sede pontificia, allora San Giovanni in Laterano, per rifugiarsi in un luogo più sicuro. Potrebbe essere paragonato al ruolo di Castel Sant’Angelo e al Passetto rispetto al Vaticano.

Il rituale di insediamento del nuovo Papa prevedeva il passaggio nella zona dei Santi Quattro in un millenario percorso pontificale dal Vaticano al Laterano. Ce n’è una preziosa memoria negli affreschi conservati nella cappella del convento: si vede l’imperatore Costantino che scorta a piedi il cavallo bianco di papa Silvestro, riconducendolo a Roma dopo l’autoisolamento sul Monte Soratte durante le persecuzioni del trecento dopo Cristo.

Ho imparato a conoscere questo suggestivo luogo grazie a una collega e amica, Monica Mondo, e al responsabile per la comunicazione della CEI, monsignor Domenico Pompili. Per loro iniziativa ogni due mesi un gruppo di giornalisti si è riunito per un momento di preghiera e convivenza che iniziava proprio con la recita di compieta insieme alle monache del monastero.

Nel corso dell’ultimo incontro pochi giorni fa ci è stato fatto il regalo di poter visitare l’aula gotica dei Santi Quattro Coronati un’impressionante ciclo pittorico del Duecento scoperto nel ’97 e solo recentemente reso visibile al pubblico con visite guidate e su prenotazione per convivere con la stretta clausura delle agostiniane.

Si tratta di un vasto locale, lungo diciassette metri, largo nove, alto undici,una volta adibito a stireria. Le pareti interamente ricoperte di un celeste carta da zucchero nascondevano invece trecentocinquanta metri quadrati di pittura venuta alla luce per la felice intuizione di una restauratrice che lavorava in stanze attigue.

Salomone, con il capo coronato da un diadema, ci accoglie, ieratico. La sua figura, rappresentazione del Cristo, “sole di giustizia”, occupa la parete settentrionale della grande sala da più di settecentocinquanta anni. Tutto intorno una summa enciclopedica medievale fatta di costellazioni, segni zodiacali, stagioni e mesi con le attività agricole che li caratterizzano. C’è la rappresentazione del tempo dell’uomo e del tempo di Dio che, si sa, non procedono quasi mai allo stesso ritmo. Nella parte mediana delle pareti, le Virtù, donne cinte di armatura per il ‘buon combattimento’, recano sulle spalle le figure dell’antico, del nuovo testamento e di Santi distintisi nel loro esercizio. In basso, in antitesi, sono rappresentati il vizio antitetico e il personaggio storico o la religione che lo rappresenta. Così, siccome il periodo storico non ‘lo manda a dire’, troviamo la virtù della purezza che con il piede schiaccia Maometto, considerato lussurioso per via dei suoi numerosi harem. La grande sala, posta al primo piano dell’allora palazzo cardinalizio era destinata presumibilmente all’amministrazione della giustizia. Gli affreschi, nonostante alcune lacune dovute a terremoti succedutisi nei secoli, sono pressoché intatti.

Furono infatti, ricoperti con calce molto presto probabilmente a causa della peste che colpì Roma nel Cinquecento. Una sorta di disinfezione artigianale che però ha preservato i disegni da ridipinture successive.

Torniamo verso il centro quando ormai è sera inoltrata. Una falce di luna illumina la rocca e i sanpietrini. E pensando ai tanti personaggi che nei secoli che hanno camminato lungo la stessa via, i propri problemi quotidiani, chissà perché, si fanno piccini, piccini.

 

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