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Lettera da Roma

IL TIFO CHE DIVIDE

PAOLO CREMONESI - 24/04/2015

roma-lazio“Agnostico”. Me la cavo così tutte le volte (almeno un paio alla settimana) in cui mi chiedono se sono della Roma o della Lazio. Non lo dico con soddisfazione. Anche perché una scelta ‘svizzera’ qui taglia fuori da almeno metà dei discorsi. Faccio così in una città ospitale per eccellenza verso chi viene da fuori ma che non può sopportare che il nuovo arrivato non si schieri. Nel duello che riempie sette giorni su sette le sale dei bar, ristoranti, palestre oltre ovviamente a uffici e spostamenti casa-lavoro, devi scegliere. “Due volte l’anno” racconta il regista Enrico Vanzina “arriva il giorno in cui migliaia di pazzi romanisti vogliono sconfiggere migliaia di altri pazzi laziali. Per ottenere cosa? Un niente che è tutto: la gioia di poter dire ‘siamo mejo de voi”

As Roma 1927. Ss Lazio 1900 pari in classifica (ma il solo sorpasso di quindici giorni fa della seconda sulla prima ha paralizzato il pigro pomeriggio romano in un carosello di macchine). Niente a che fare con le rivalità di Juventus e Torino, Milan e Inter, Genoa e Sampdoria. Qui si rompono le amicizie, si spezzano gli amori, si cambia ufficio solo per le giravolte di un pallone. “La Roma non si discute si ama” taglia corto lo slogan della curva sud giallorossa.

Due tifoserie. Due dei pochi elementi identitari rimasti nella capitale. E anche se timidamente qualche baccello raggiunge il Nord (non posso non citare un mio nipote che proprio a Varese tiene alti i colori giallorossi) la grande sfida è tutta qui. Lo si è visto plasticamente una decina d’anni fa quando prima la Lazio nel 2000 e poi la Roma nel 2001 hanno vinto il loro ultimo scudetto. (Per la cronaca: tre la Roma, due la Lazio)

La festa laziale ha scosso la città per pochi giorni per trasferirsi rapidamente nell’hinterland. Strade e scalinate dipinte di biancoceleste, una festa a piazza del Popolo, il tour della squadra. Quella romanista invece, iniziata con Venditti e la Ferilli al Circo massimo, si è protratta per settimane, manco fosse il carnevale di Rio. Bruchi giallorossi di peluche hanno invaso i parabrezza delle macchine. Scritte ‘Totti ottavo re di Roma’ sono comparse dappertutto. Persino i ‘led’ luminosi dei bus al posto del numero indicativo della linea venivano sostituiti con ‘Forza Roma’.

E così, a voler azzardare un identikit, possiamo dire che i romanisti amano diffondere la propria fede con lo stesso zelo di un avventista mentre il laziale, per altro va detto in minoranza nella capitale, non ama troppo buttarla in caciara. “Noi felici, pochi / voi tristi bori” campeggiava su uno striscione biancoceleste. In città i primi radicati nelle periferie, i secondi, secondo la vulgata, più elitari e in maggioranza di Prati o Parioli. I primi più di sinistra, i secondi a destra. Sembra una canzone di Gaber…

Ne nasce una contesa infinita tra i due schieramenti, rimbalzata e amplificata dalle radio tifo locali (anche questo credo fenomeno quasi unico nel Paese) che si nutre di se stessa. Dà voce a Romolo der Testaccio piuttosto che a Fiero da Roviano. Con scambio di battute e sfottò come questa tratta da ‘Quelli che la Maggica…’: un laziale sceso da Ariccia, si ferma davanti al Colosseo e dice: «A cumpa’… ma nel ’90 null’avevano ristrutturatu l’Olimpicu??». Aspettando maggio e il prossimo derby.

 

 

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