Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

EUROPA/3 LA PROCESSIONE DI ECHTERNACH

EDOARDO ZIN - 26/06/2015

procession dansante d'Echternach 2006“Vedi, l’Europa va avanti come la processione di Echternach: un passo avanti e due indietro” – mi disse un autorevole amico accompagnandomi a casa lungo un tratto di strada, in un’uggiosa serata invernale lussemburghese.

Echternach è un grazioso villaggio del Granducato del Lussemburgo, lambito dalle acque della Mosella e circondato da verdi colline su cui si coltivano vigneti che producono un frizzantino vino bianco.

Qui, ogni anno, il martedì dopo la Pentecoste, si svolge una processione alla quale partecipano i devoti che si recano a venerare le reliquie di Wielbroord, l’evangelizzatore di quelle terre e a cui si uniscono comuni cittadini e turisti provenienti dai paesi limitrofi.

Per raggiungere la basilica, tutti i partecipanti, a passo cadenzato e ben guidati dai capifila, voltando le spalle alla chiesa e con la faccia rivolta alla piazza antistante, devono compiere due passi avanti e uno indietro.

Mi sono sovvenuto di questo episodio leggendo i giornali di martedì scorso. Esponevano i timidi risultati raggiunti nella notte durante il vertice dei leader dei diciannove Paesi dell’Eurozona riguardanti il salvataggio della Grecia che rischia di uscire dalla moneta comune. Il compromesso raggiunto non è, al momento in cui scrivo, ancora definitivo perché dovrà essere sottoposto all’approvazione del summit dei capi di stato e di governo di tutti i ventotto Paesi dell’Unione, previsto per giovedì e venerdì prossimi. Sembra che la Grecia accetti alcune misure di austerità pretese dall’Europa in cambio di un ulteriore prestito che le permetterà di pagare i debiti e di non dichiarare fallimento.

Ancora una volta una crisi, ancora una volta interminabili discussioni e ancora una volta un compromesso.

Tutta la storia dell’integrazione europea è cosparsa di passi avanti e passi indietro, da un intreccio conflittuale fra creazione e distruzione che continua sino ai giorni nostri.

Alla memorabile dichiarazione del 9 maggio 1950, che creava la prima comunità (la C.E.C.A.), di assistette, quattro anni dopo, al fallimento della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.).

Si abbandonò allora la via politica, di cui un esercito comune europeo sarebbe stato il primo passo, per imboccare il cammino verso un’integrazione economica che portò alla firma dei Trattati di Roma (1957) che istituirono la C.E.E. e la C.E.C.A., meglio conosciuti rispettivamente come M.E.C. e EURATOM.

Seguì nel 1965 un clamoroso passo indietro: il governo francese dichiarò La comunità in crisi e abbandonò il suo posto in seno alla Commissione (la politica della “sedia vuota” voluta dal generale De Gaulle). Grazie al “compromesso di Lussemburgo” (1966), la Francia riprese il suo posto in seno alle istituzioni della Comunità.

Nel biennio 1968/70 la Comunità si consolidò con l’ingresso di altri tre Paesi, ma la crisi energetica del 1973 bloccò una comune politica energetica, mentre la Gran Bretagna, da poco entrata nella Comunità chiese la rinegoziazione della sua adesione e, conseguentemente, la diminuzione del suo contributo al bilancio comunitario.

Nei due decenni successivi (1970-1990) la strada verso l’integrazione europea si fece più agevole e si compirono molti passi in avanti: numerosi paesi chiesero la loro adesione alla Comunità, ci si avviò verso politiche economiche comuni attraverso un sistema monetario europeo, si elesse per la prima volta a suffragio diretto e universale il Parlamento Europeo, nel 1985 a Milano si decise di modificare i Trattati, a Maastricht nacque l’Unione Europea (1991).

Subito dopo, il cammino ritornò ad essere ripido e irto di ostacoli. Nacque l’euro, ma la moneta unica fu introdotta solo in dodici Paesi, il Trattato di Nizza che modificò il trattato sull’Unione Europea venne respinto da un primo referendum da parte dell’Irlanda. Nel 2004 si firmò a Roma il Trattato che istituiva una Costituzione Europea, ma Francia e Paesi Bassi la bocciarono con un referendum popolare. Si fece un passo in avanti con il meno ambizioso Trattato di Lisbona.

Il resto è storia recente: l’allargamento, forse troppo precipitoso, ai paesi dell’est, la globalizzazione entrata in Europa e non gestita in Comune, la grande crisi economica del 2008 con le relative politiche di austerità e rigore e la sofferenza sociale da esse derivata, una certa opacità nei processi decisionali, una retorica e macchinosa tecnocrazia, provocarono la nascita dei populismi e una crisi che coinvolse non solo l’aspetto economico dell’Unione, bensì i suoi valori fondanti, la sua identità, il suo comune destino.

Per arrivare ad unire l’Europa si scelse, dunque, all’inizio della sua costruzione la via economica che portò alla creazione di un mercato comune, alla libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali. Il mercato unico esigeva una moneta unica. La nuova valuta europea doveva rappresentare il lievito per fermentare l’integrazione. Si è forse ingenuamente troppo creduto che attraverso l’integrazione economica si sarebbe giunti, per naturale evoluzione, all’unione politica, ma l’Europa economica ha condizionato la politica e la moneta, che doveva unire, invece ha diviso risvegliando risentimenti, rancori, nazionalismi e determinando una gerarchia tra i diversi Paesi, premiando i più efficienti e penalizzando gli altri.

I greci stanno vivendo sulle loro spalle il clima di rigore e di austerità. La colpa non è dell’euro. Né tantomeno dell’Europa. Né meno ancora di frau Merkel. Le colpe sono da addebitarsi a chi, godendo di vantaggi comuni, non ha rispettato le regole che impongono di non scialacquare il bene comune e – contemporaneamente – a chi ha usato la futilità e la smoderatezza greche per ricavarne interessi e, mascherandosi dietro all’Europa, proteggendo i propri egoismi nazionali.

Dinanzi a questa crisi, l’Europa si dimostra debole e fragile: non ha ancora una comune politica estera di difesa, che l’epocale immigrazione esigerebbe, non possiede una reale autorità metanazionale, ha un serio deficit di democrazia perché il Parlamento è troppo marginale rispetto ai poteri della Commissione.

In Europa o ci si salva tutti assieme o si perisce tutti assieme. Solo se sentiamo di appartenere ad un medesimo destino e utilizzeremo le armi della ragione e non gli slogans propagandistici, l’Europa continuerà ad essere il luogo in cui cercare risposta alle attese di benessere, di prosperità, pace ed evitare così la rinascita dei conflitti tra opposti nazionalismi.

Forse, la crisi greca aiuterà l’Europa a rinascere.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login