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Attualità

CREARE UNA CULTURA EDUCATIVA

EDOARDO ZIN - 24/07/2015

insegnanteUn cospicuo numero di docenti entrerà in ruolo con l’inizio del prossimo anno scolastico, grazie alla riforma della scuola. Migliaia di persone che lavoravano nell’insicurezza del lavoro, sottoretribuiti, frustrati e avviliti potranno così recuperare dignità e serietà purché insegnino bene. Sentendosi meno precari, ci si attende da loro impegno ed abnegazione. Lo Stato, da parte sua, dovrà incentivare i migliori, valorizzare le competenze culturali e i talenti personali dei bravi insegnanti, magari offrendo loro una differenziazione nella progressione di carriera.

In mezzo a non pochi docenti indifferenti, sciatti, poco apprezzati da una società che li retribuisce in modo meno che dignitoso e resi tali da una zelante corte di pedagogisti che negli ultimi decenni ha pontificato per togliere loro la passione e l’entusiasmo per l’insegnamento, sostenuta dai sindacati che hanno praticato l’ugualitarismo, come se la meritocrazia fosse il contrario della democrazia, abbiamo conosciuto una maggioranza che si è rifiutata di soggiacere alla generale atmosfera di mediocrità e che, al contrario, si è votata alla professione senza risparmio tentando di battere strade nuove, illuminandosi con la luce della loro coscienza.

Le società affidano ai docenti bambini, ragazzi e giovani perché li conducano verso la loro piena manifestazione di uomini e di donne. Sfortunatamente, c’è chi abbevera i cuccioli dell’uomo con idee false e infami o pascolandoli tra giochi, canti, danze, feste producendo danni enormi per l’intera società. Un insegnante lascia sempre un “segno” perché l’educazione non è mai neutra.

Insegnare oggi è molto arduo: non basta possedere una buona preparazione culturale, occorre saperla trasmettere, farla apprendere e farla vivere e esperimentare nella vita di ogni giorno. Ai docenti si chiede inoltre l’assoluta assenza di preconcetti di qualsiasi natura, un libero, spregiudicato ingegno, una capacità di dialogo con le famiglie, un’attitudine a lavorare assieme.

La scuola rispecchia sempre la società, anzi talvolta la anticipa o ne segna il declino. Se la società sarà domani abitabile o soffocante, fraterna o ostile dipende in larga misura dagli insegnanti. Nella società i docenti sono chiamati ad apportare il loro contributo talvolta andando controcorrente, risvegliando le coscienze assopite, senza soggiacere tuttavia alle ideologie e alle mode, ma vivendo la loro professione in modo aperto, dinamico.

La società d’oggi è attraversata da profonde e radicali lacerazioni. Così è la scuola frammentata da molteplici informazioni, spesso giustapposte tra di loro, trasmesse dalle nuove tecnologie che danno accesso a molte informazioni, ma non alla conoscenza, cioè alla cultura che si raccoglie attorno ad una visione globale della realtà, la interpreta con la ricerca e la fa propria con la ragione. A questo sono chiamati i docenti d’oggi: riportare le informazioni a unità, creando una cultura educativa in modo che non l’istruzione, ma la formazione integrale della persona sia al centro del processo educativo.

La società d’oggi è “fluida”, cioè indifferente rispetto ai valori perenni che più contano. Così è la scuola. Ciò che più la preoccupa è insegnare, trasmettere notizie, senza preoccuparsi che esse vengano apprese e che vadano a costituire una costellazione di idee attorno a cui orientarsi nella vita. E trasmetterle, magari, in un clima di tripudio perché così alunni e famiglie saranno felici. La scuola che si accontenta di proiettare davanti a sé un sogno di benessere si ridurrà presto a un grigio timore di fallimento!        Spetta ai bravi docenti non svalutare l’apprendimento che è sacrificio, rinuncia, disciplina. Una scuola gioiosa, ludica può essere piacevole, ma non forma caratteri forti.

Oggi la società è dominata da un esasperato scientismo tecnologico, di marca anglo-americana, e da un inacerbito liberalismo economico: l’uomo conta per quello che “fa”, per quello che “ha”,non per quello che “è”.Anche la scuola è stata invasa da queste tendenze. Si insegna quello che è subito utile, pratico e si pungola alla competitività. L’insegnamento è programmato, tutto ordinato; viene valorizzato dai dirigenti scolastici se è stato preordinato e l’allievo viene valutato conteggiando al millesimo le sue competenze, dimenticando che ogni uomo è unico ed irripetibile, dotato di libero spirito che non può essere ingabbiato in schemi docimologici preconfezionati o ridotto ai soli orizzonti del successo scolastico.

È una società la nostra dove le relazioni umane sono “spurie”, poco durature. Mancano di fiducia, di rispetto reciproco, sono fondate spesso su interessi a buon mercato. Nella scuola la relazione insegnante-allievo è spesso improntata al cameratismo (“Siamo amici: diamoci del tu!”) e ci si dimentica che solo chi è piu’ in alto (maestro deriva da “magis” = di più) puo’ piegarsi in basso per aiutare chi sta più in basso per fargli conquistare il pieno diritto di diventare adulto.

La nostra società è in preda della “cultura dell’amnesia”: non si vuole conoscere il passato. Anche nella scuola si sta dileguando l’idea del ricordo, delle nostre radici culturali soprattutto dell’umanesimo che ha fatto grande il nostro paese, mentre l’eredità del passato non si conserva tanto nelle biblioteche o nei musei, ma nell’intelligenza e nel fervore degli educatori.

Assistiamo oggi ad un impoverimento, se non all’involgarimento, del linguaggio, alla sua banalizzazione. Sono i bravi maestri a dare dignità alla parola, intesa non solo come linguaggio bensì come una soglia decisiva di umanizzazione, che mette i giovani in relazione fraterna con gli altri e con il loro ambiente. Era il grande cruccio di don Milani che invitava i suoi ragazzi ad impossessarsi della parola per liberarsi dalla schiavitù dei potenti di turno.

“Il maestro che cammina all’ombra del tempio tra i discepoli non elargisce la sua sapienza, ma piuttosto la sua fede e il suo amore” ha scritto Gibran. È l’augurio che rivolgiamo ai docenti che -finalmente! – dopo anni d’insicurezza, entreranno a pieno titolo nell’insegnamento.

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