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Attualità

DECADENZA EUROPEA

EDOARDO ZIN - 05/02/2016

Un amico mi telefona per farmi garbatamente notare che gli sembra eccessivo il modo con cui accollo ai governi nazionali le colpe per la mancata unione politica dell’Europa. “Dove andremo a finire?” – mi chiede l’amico. “Non chiedermelo – gli rispondo – ci siamo già…”.

So di dispiacere all’amico, fervente europeista, ma resto del mio avviso, anche se non sottovaluto gli errori delle istituzioni europee. Se il trattato di Schengen fosse abolito, sarebbe l’inizio della fine…

L’antieuropeismo è una costante dei governi che assai raramente hanno voluto riunire in una sintesi, che può continuamente rinnovarsi, di elementi eterogenei delle politiche nazionali. Tutti oggi vorrebbero una comune politica di difesa: fu la Francia, nel 1954, che si rifiutò di firmare il trattato della Comunità Europea di Difesa. Se un oscuro deputato della Marna, telecomandato dal generale De Gaulle, non si fosse levato all’Assemblea Nazionale per chiedere la pregiudiziale di anticostituzionalità del trattato della C.E.D., oggi ci sarebbe un esercito europeo più che mai indispensabile ai giorni nostri. Se nel 1962 alcuni governi non avessero votato contro il “piano Fouchet”, oggi l’unione politica sarebbe un dato di fatto. Se nel 1965 la Francia non avesse ritirato il proprio rappresentante ai negoziati per una comune politica agricola, il trattato sarebbe stato più conveniente per tutti. Se solamente dopo un anno del suo ingresso nell’allora comunità, la Gran Bretagna non avesse chiesto di rinegoziare la sua adesione, si sarebbe impiegato quel tempo per migliorare le istituzioni. Se nel 1992 la Danimarca non si fosse pronunciata contro la ratifica del trattato di Maastricht, salvo poi approvarlo l’anno dopo, il trattato sull’UE sarebbe entrato in vigore prima evitando perdite di tempo.

La stessa cosa si potrebbe dire per l’Irlanda che, in un primo momento, bocciò il trattato di Nizza sulla modifica di Maastricht per poi pronunciarsi a favore. Non parliamo poi della Costituzione Europea bocciata dalla Francia e dai Paesi Bassi… Il resto (l’euro, la mancata politica comune sull’emigrazione, la lotta comune al terrorismo) è sotto gli occhi di tutti. Vorrei solo ricordare che la commissione presieduta da Romano Prodi aveva previsto l’ingente afflusso di migranti e aveva proposto un piano: furono i governi a disinteressarsene!

È vero: la storia non si fa con i “se”, ma questi segnano tappe importanti non raggiunte a causa degli egoismi nazionali.

Certamente, anche le istituzioni europee non sono indenni da colpe: eccessivo burocratismo, rigida applicazione delle regole, funzionari che vengono nominati non in base alla competenza ma alla cittadinanza, pletoriche pile di documenti tradotti in tutte le venticinque lingue nazionali (quando basterebbe tradurli in tre, quattro) parlamento europeo con due sedi (a Strasburgo e a Bruxelles): non sarebbe significativo che, in questo momento di crisi, anche le istituzioni europee procedessero ad un “dimagrimento”?

L’attuale antieuropeismo si manifesta in diverse varianti: i critici, come l’Italia, che spinge per ritrovare un’identità una e molteplice, per elaborare vere politiche comuni, per colmare il deficit di democrazia; gli scettici, come la Gran Bretagna, che tendono a trascurare gli obiettivi sociali per privilegiare obiettivi puramente finanziari; gli ipercritici, come i paesi del Nord che, assai omologati al loro interno, sotto le forze popolari xenofobe o non avendo vissuto lo spirito degli anni dei pionieri, hanno aperto i loro confini solo quando, crollato l’impero sovietico, si è delineata la prospettiva di una comune appartenenza all’UE ed ora la vedono come una polizza d’assicurazione contro probabili invasioni; infine, i paesi dell’est che, dopo due guerre e il dominio sovietico, hanno sperimentato il potere distruttivo delle loro culture e solo con l’ingresso nell’UE sperano di superare la frammentazione e l’isolamento.

La costruzione dell’Europa è passata da una prima fase ideale, ad una successiva esteriore, senz’anima mossa solo dalla forza dell’economia. Sta passando ad una terza fase: quello della decadenza, frutto di un’interiore stanchezza, proprio nel momento in cui l’Europa sembra soccombere sotto l’ondata delle migrazioni che non riesce a gestire perché, tentata dalla paura, cede alle decisioni unilaterali.

L’Europa è in pericolo: i nazionalismi e i localismi la minacciano. La competizione economica che l’incalza potrebbe indurla ad adottare modelli estranei alla sua tradizione culturale fondata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti. Sono i popoli d’ Europa che devono convincere i loro governi a schiudere le gabbie che richiudono interessi economici particolari, ad aprire i varchi alla solidarietà, gli occhi all’orizzonte della speranza, le orecchie alle parole di comprensione.

La speranza che poniamo nell’Europa ha due volti: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno è per denunciare le sue mancanze, il coraggio per cambiarla in meglio. “Per incontrare la speranza – fa dire Bernanos al suo curato di campagna – , bisogna andare al di là della disperazione. Quando si va sino alla fine della notte, si incontra una nuova aurora”.

 

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