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Sport

CAROLINA E LE SIRENETTE

ETTORE PAGANI - 03/02/2012

Sarà, senza dubbio, quello di Mameli, l’inno di una nazione repubblicana. La nostra, ovviamente. Ma quando deve accompagnare il trionfo della Kostner diventa, è anche un omaggio a una regina. Sua Maestà Carolina Kostner. Ben tornata Maestà. Non certo al successo che le è ormai di rito, pur se tra intervalli tra un podio e l’altro. Bentornata a confermare la serie dei suoi trionfi. Ad ascoltare l’inno di Mameli, a guardare, con gli occhi lucidi, il tricolore con quella mano sul cuore come dire: “Questi sono i colori del mio paese anche se quel mezzo ostrogoto di un mio nome sembra aver poco del peninsulare”.

Lei, Carolina, ha, ancora una volta, buttato all’aria, fatto accantonare, sbriciolandoli, quei dubbi che, per via di qualche alternanza di rendimento e del crollo di Vancouver, erano pur sorti. Per essere sinceri non del tutto infondatamente con quelle incertezze che, a tratti, apparivano nel suo muoversi sul ghiaccio. Apparivano anche – e soprattutto – per via di quella frenetica velocità tanto esaltata dalla critica ma così difficile da consentire un controllo perfetto di ogni passo, di ogni movimento.

La velocità che, ripetiamo, i critici esaltavano non si è mai conciliata con la perfezione e tanto meno con l’eleganza, l’armonia che ogni gesto pretende; mai conciliata ancor più sul ghiaccio dove un equilibrio è sempre instabile.

Era quello il peso che Carolina si portava dietro, in una forzatura di movimenti frequente causa dei suoi errori.

Poi lei è stata grande. Nel capire, nell’inquadrare la necessità di una svolta propendendosi in maniera completamente diversa cercando e trovando quell’eleganza e armonia che, insieme ad una tecnica mai mancata, l’hanno, letteralmente, trasformata. Diversa, come è adesso sul ghiaccio. Bella con la bellezza di una regina. Come quella delle sirenette della pallanuoto capaci della grande impresa di imporsi sulle quasi imbattibili colleghe greche.

Grandi imprese e sport, dunque, ancora al femminile. Non ce ne vogliano i maschi ma l’inchino si impone. Come è, imprescindibilmente, dovuto alle regine.

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