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Società

FUORI DAL CORO

SERGIO REDAELLI - 27/05/2016

Fonte Ipsos per Uelci, 2014

I giornali cattolici sono più liberi degli altri organi di stampa perché non rispondono soltanto alla legge del profitto. Rappresentano una pluralità di voci e garantiscono un’informazione controcorrente, anche per la spinta della parola di papa Francesco. Sui temi della difesa della vita, della bioetica, dell’economia dal volto umano, dei diritti degli ultimi, dei migranti e dei cittadini senza voce, l’editoria cattolica è una voce fuori dal coro dei padroni dei giornali, dietro ai quali agiscono i poteri forti. Lo ha detto Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, parlando a una platea di giornalisti nella sede Caritas di Milano.

Avvenire, 110 mila copie, è al quinto/sesto posto fra i grandi quotidiani generalisti. Ha un lettore di cultura medio alta, fedele e curioso, che lo sfoglia 50 minuti al giorno, contro i 18 della media italiana. Soltanto un terzo dei lettori è composto dai sacerdoti, tra cui molti giovani preti. Il quotidiano ha pagato un tributo alla crisi in termini di prepensionamenti senza sostituzioni ma il trend è in crescita. Con quale ricetta? “Il giornale – dice Tarquinio – deve “rompere le scatole” non solo al potere, ma anche raccontare l’originalità del mondo cattolico e, quando fa cronaca, deve rispettare uno stile che è anche sostanza. Il 52% di quello che oggi passa in tv è cronaca nera (in altri Paesi il 18%). Questo suscita incattivimento, isolamento e impoverimento dei cittadini”.

La stretta economica si sente. Le scarse possibilità di spesa delle famiglie riducono gli abbonamenti, gli inserzionisti e le entrate, già provate dai tagli ai contributi statali. Si calcola che il 37% delle testate italiane sia sparito negli ultimi anni e per 10 euro persi dai giornali, il digitale ne recupera appena 1-1,20. L’editoria cattolica, cartacea e online, reagisce meglio di altri alla congiuntura, ma numerose testate specializzate e missionarie hanno chiuso. Dopo il Luce, Il Resegone, Il Regno e la Settimana, hanno cessato l’attività Popoli, il mensile dei gesuiti e Misna, l’agenzia missionaria che per diciassette anni ha informato sulle periferie del mondo e sulle guerre dimenticate in Sudan, Congo, Sierra Leone e Ruanda.

Alti costi e invecchiamento delle testate. Fusioni, accorpamenti e ristrutturazioni. Civiltà Cattolica si converte al digitale e il “paolino” Credere ingloba Jesus. In cambio nascono altre voci: Vatican Insider del quotidiano La Stampa è un organo multimediale in tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) e si avvale di uno staff di qualificati vaticanisti. È diffuso attraverso il sito VaticanInsider.com e i principali social network. Il Sismografo non figura tra le voci ufficiali della Santa Sede ma è una sua emanazione, curato da giornalisti di Radio Vaticana. Il successo di Il mio Papa (Mondadori) è per così dire “a tempo”, legato a Francesco. Poi ci sono il network radiotelevisivo cattolico Tv2000 e una galassia di blog personali.

L’arcipelago delle testate diocesane, i cosiddetti “giornali del curato”, segna un calo di centomila copie (dati 2014) ma “sono numeri inferiori rispetto alla crisi dell’editoria generalista”, osserva Francesco Zanotti, presidente della Fisc, la federazione italiana dei settimanali cattolici. Vi aderiscono 191 periodici diocesani con novecentomila copie e 500 dipendenti, di cui 250 giornalisti e migliaia di collaboratori. Settanta testate percepiscono contributi governativi per 1,7 milioni di euro, un 5% dal fondo per l’editoria che la Fisc vorrebbe portare al 7%. Ottantasei direttori sono laici che hanno preso il posto di sacerdoti, quindici le donne.

I giornali diocesani curano piccoli territori ma con forte legame d’appartenenza. Sono piazze non ecclesiali dove la gente si ritrova: “Il lettore cerca autorevolezza sulla carta stampata. Sul web ci va dopo per trovare conferma – spiega Zanotti – Il digitale sta in piedi con i volontari e non sarebbe possibile senza il cartaceo che fornisce spunti e notizie. È un impegno 24 ore su 24, sette giorni su sette, magari utilizzando le fotografie scattate con il cellulare. Parlare di carcere fa perdere lettori: non conviene o è giusto parlarne? Scrivere dei malati di Sla, di chi è in stato neurovegetativo, di chi vive in clausura? Noi diamo luce all’altra parte della luna, tocchiamo i temi che riguardano le coscienze”.

Problemi di linguaggio, necessità di scrivere in modo semplice, equi compensi non sempre garantiti ai collaboratori: la gente in treno se ne sta sempre più in silenzio, si isola, nessuno legge più il giornale. Tutti con il telefonino in mano. Per Fausto Colombo, docente di scienze della comunicazione all’Università Cattolica, “il digitale ha distrutto più valore di quello che ha creato. Il traffico dei clic non significa qualità. C’è una crescente disabitudine ad avere buona informazione. Il cosiddetto “infotainment” ha fatto danni incalcolabili accreditando l’idea che l’informazione la possono fare tutti e la gratuità è ormai un rituale di consumo. Perché pagarla?, si chiede il lettore. Ma la qualità si paga”.

Tagli alla foliazione e alla diffusione: l’8 per mille non basta da solo, servono nuove risorse per tutelare l’indipendenza dei giornali. Le sinergie fra le testate possono favorire valide forme di finanziamento e la rete offre soluzioni finanziarie attraverso le fondazioni. Anche le organizzazioni non profit possono tornare utili. Guido Mocellin, giornalista e saggista, cura la rubrica WikiChiesa su Avvenire: “Fuori dai nostri circuiti c’è poca informazione religiosa – accusa – Se ne parla solo in occasione di guerre, a proposito di migranti con discorsi stereotipati e divisivi, nelle ricorrenze della Shoah quando scatta la caccia ai testimoni. Il papa è un argomento che tira. Il 40% della comunicazione è dedicato a Francesco, dal 10 al 20% alla religione che divide e alla Chiesa che accoglie i migranti. Se ne fa un uso strumentale”.

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