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Cara Varese

NANDA E NINO

PIERFAUSTO VEDANI - 28/07/2017

pivano

Nanda Pivano

Luglio e agosto non sono mesi favorevoli per l’informazione e la comunicazione: vacanze e clima

disperdono, a volte anche in misura notevole, l’attenzione della comunità. Staccare la spina da problemi che magari per mesi ci hanno inseguiti peraltro ci giova e di conseguenza non si deve recriminare se subito non stiamo al passo di eventi irripetibili o di scadenze fisse che hanno il torto di presentarsi quando appunto stiamo godendoci la fuga dalla quotidianità. L’unico rito che di nuovo ci accomuna tutti è il Ferragosto, grande collettivo segnale di inizio fine stagione: altri eventi hanno significato e portata diversi per ognuno di noi.

Per esempio l’estate 2017 ha visto ricordare il centenario della nascita di Fernando Pivano, colta letterata che come traduttrice di Hemingway dopo la seconda guerra mondiale contribuì a far conoscere il grande scrittore e ad approfondire la conoscenza di parte della letteratura nordamericana non amata dal regime fascista.

Per noi giovani l’approccio con diversi autori fu molto coinvolgente in particolare Hemingway, che avrebbe preso il Nobel e scelto anche l’Italia per ambientare sue opere.

Quando immeritatamente decenni dopo venni chiamato a collaborare alla fondazione del Premio

Chiara, felicissima intuizione di Massimo Lodi, scoppiai di gioia: a far parte della giuria letteraria fu invitata anche Fernanda Pivano. Ebbe la carissima Nanda la superpazienza di dedicarmi attenzione in più occasioni: fu così che conobbi anche qualche nuovo risvolto dell’attività e della vita di uno scrittore che non avevo e non ho mai smesso di amare con lo slancio di giovane ultras.

La notizia del centenario della nascita di Fernanda Pivano me la sono letta come moltissimi italiani amici della letteratura ma con la personalissima sensazione di avere fatto, non ricordandola, uno sgarbo a lei e anche alla mia cara Varese che accolse con grande interesse la nascita del Premio Chiara e che con la dolcezza, il rispetto e l’accoglienza tradizionali fece sentire subito a casa loro gli scrittori della giuria.

La signorilità e la profonda cultura dei leghisti della prima ora affondò il Premio Chiara perché aveva sì stelle della letteratura nella giuria, ma erano terùn. In realtà i meridionali erano solo due, Michele Prisco e Raffaele Nigro. Non a caso Michele Prisco, napoletano, leader del gruppo di letterati, mi disse che prevedeva per i varesini un avvenire modesto se le loro guide consideravano terùn un veneziano, Gino Montesanto, e una genovese, Nanda Pivano e con loro il comasco Federico Roncoroni, nominato da Chiara suo erede letterario, e due lombardi doc, giornalisti a Varese.

Oggi un quarto di secolo dopo il golpe dei disinformati nostalgici del dialetto bosino possiamo ricordare che nella storia della nostra letteratura contemporanea c’è anche Raffaele Nigro, pugliese, già allora lanciatissimo.

Fu un vero disastro culturale e gestionale la marcia dei carroccini sul Premio Chiara: la manifestazione infatti si sarebbe affermata ma lontano da Varese dove era stata maltrattata, con echi nazionali, dal primo governo leghista.

Non rividi più Nanda: qualche telefonata e poi a causa dei suoi problemi di salute i contatti si diradarono.

Parlare adesso di lei con affetto e riconoscenza non attenua il rimpianto di non esserci uniti, complice l’estate, noi varesini del primo “Chiara”, nel suo ricordo in occasione del centenario della nascita. Ne avessimo avute di “terrone” come Nanda!

Quando i fuochi dell’estate cominciano ad attenuarsi, ecco la festa di san Bartolomeo.

Una ricorrenza importante per la Chiesa, era uno degli apostoli, e per chi è stato battezzato con il suo nome, un po’ scomodo per via della… lunghezza. Una festa inoltre quella di san Bartolomeo che ricorrendo nell’ultima decade d’agosto è pure un po’ defilata.

Nino Miglierin con Mario Lodi

Nino Miglierina con Mario Lodi

Ed era Bartolomeo, ma lo chiamavamo tutti Nino, il professor Miglierina, condirettore della Prealpina, per lunghi anni al fianco di Mario Lodi, direttore. Al giornale Nino si occupava di cultura,era inoltre un autorevole ma non ingombrante “occhio” sulla pagina dedicata a Busto Arsizio, l’altro polo degli azionisti.

Il quotidiano infatti era stato acquisito nel tempo da Stefano Ferrario, grande imprenditore, del quale il professor Miglierina era cognato.

Ancora oggi Varese e Busto Arsizio non hanno allacciato rapporti importanti, cosa intelligente che invece hanno fatto con l’UNIVA gli industriali e appunto i proprietari della Prealpina. Quando il controllo del giornale è passato da Varese a Busto non ci sono stati problemi: il modus vivendi era collaudato e anche se erano mutati i vertici alla Prealpina si poteva continuare senza rivoluzioni.

Se gli equilibri a livello di giornale sono sempre stati soddisfacenti lo si deve anche allo splendido rapporto professionale e umano tra Mario Lodi e Nino Miglierina, il prof poi come condirettore con noi giornalisti poteva aprirsi un po’ di più del direttore, obbligato dal ruolo a contenere, nella forma, almeno il distacco generazionale nei confronti dei redattori.

La maggior parte degli anni del boom del nostro giornale hanno avuto questi due leader, con un Nino Miglierina che, senza averne l’aria, piano piano era diventato un vero capobranco dei giornalisti e lo faceva quando si apriva uno spazio di rallentata attività come scioperi, attese di eventi, partecipazione agli stessi, pause pre o post elettorali o anche normali vacanze. Accadeva che piccole spedizioni partissero per ben selezionati ristoranti o bar dove Nino dimostrava sempre gusto e raffinatezza nelle scelte di vini e cibi che innescavano formidabili momenti di amicizia e allegria.

Oggi in tv cuochi e conoscitori di vini imperversano, la cucina e le vigne sono diventati cultura, un paio d’ore trascorse serenamente con Nino Miglierina decenni or sono erano la scoperta di abili vinattieri, di vini storici, di tradizioni e cibi che stavano scomparendo. Il tutto sempre con la giusta misura e la cornice culturale. Perché a volte si scopriva in remote e sconosciute osterie il gusto incredibile dello “zincarlin”, formaggio in via di estinzione, e dopo si andava a scovare giovani artisti impegnati a dipingere o scolpire. Nino Miglierina ha aperto la pagina culturale del quotidiano a molti artisti accogliendo anche gli innovatori.

Nino, ovvero una presenza molto positiva nell’ambito giornalistico e nella formazione dei giovani: con Mario Lodi ha formato una eccellente coppia perché ai canoni fondamentali della nostra professione essi aggiungevano la possibilità di spazi di libertà individuale che arricchivano l’informazione.

L’inserimento di un disegnatore umoristico come Morgione nella redazione fu una scelta che avrebbe coinvolto tutti i colleghi in un importante sottile mutamento nei rapporti con il potere, non soffocante ma presente, che amava ordine e disciplina. Fu questo il nostro ‘68 al giornale. La vecchia guardia degli azionisti varesini avvertì il “pericolo”, ma direttori e redattori non cedettero e fu possibile dimostrare che anche antichi valori continuavano ad avere diritto di cittadinanza in tempi di rivoluzione.

E soprattutto che il sorriso, l’ironia mettevano veramente in difficoltà concezioni arcaiche.

La Prealpina raddoppiò le vendite e trascorsero molti anni felici prima che i due direttori lasciassero per loro scelta il ponte di comando. Nino Miglierina si rifugiò nella sua amata Brebbia dove però convocava spesso giornalisti e maestranze, Mario Lodi avanzò sereno nel tempo onorando tanti piccoli impegni presi in precedenza, ma riservando chicche spettacolose ai suoi collaboratori che lo avevano seguito nella pensione. Le chicche erano uscite in auto per riscoprire o meglio scoprire strepitosi e poco noti angoli della nostra provincia dei quali Mario Lodi sapeva tutto. Queste uscite avrebbero meritato una pubblicazione, sarebbero state un successo editoriale.

Le sorprendenti incursioni ancora oggi sono nel nostro cuore assieme allo stupendo ricordo di due direttori che ci hanno insegnato molto della nostra professione, ma soprattutto il rispetto per tutti, la fedeltà al nostro giornale, l’amore per la famiglia e per la città intesa come comunità in cammino. Sono questi insegnamenti ancora oggi i pilastri sui quali i giovani colleghi possono impostare la loro carriera.

Non avranno mai simili fondamenta le migliaia di pseudogiornalisti che da qualche tempo avvelenano il web. La nostra non facile professione richiede serietà. È vero che oggi con la classe politica che ci ritroviamo è un‘impresa essere professionali, seri. Ma dobbiamo resistere alla tentazione di imbarcare dei comici.

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