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Cara Varese

CIRCOLO E INSUBRIA

PIERFAUSTO VEDANI - 07/12/2018

circoloLa storia di Varese è modesta  se ci riferiamo  a un  passato   ricco di epoche: nello scorrere del tempo,  come in buona parte della Penisola, nel nostro territorio troviamo lunghi intervalli  temporali tra gli  accadimenti prima di arrivare alla possibilità  di tramandare sicure e ricche testimonianze di realtà  che hanno garantito la continuità che ha fatto e fa storia.

Violando per la verità  le regole  di quanto ho appena detto a me personalmente piace  passare, ignorando altre realtà di significato, dallo zuccherino  archeologico del lago alla  potenza e  alla durata di un ‘opera indicata anche  come  anello  della catena di santuari mariani, eretti al confine alpino come ideale barriera al protestantesimo. L’anello è ovviamente Santa Maria del  Monte, già alla sua nascita  di grande  portata religiosa,  poi   sviluppatosi  con apprezzabile continuità sino ai nostri giorni anche  come  cardine   sociale e culturale.

È  bellissimo avere questa eredità viva e  pulsante  ai nostri giorni,   che ci ha accompagnati  come un forte, silenzioso  e affidabile  motore  quando l’ambiente della tranquilla e mite Varese si sviluppò come  novità e punto attrattivo di un turismo europeo molto elitario. Ci fu un trend positivo  che  ebbe a godere  anche di strutture  architettoniche dell’Art Nouveau   o Liberty di  cui Sommaruga  fu grande esponente.  Da questa   abbastanza recente e felice  epoca Varese avrebbe avuto  molte testimonianze anche  di una sua notevole  attenzione all’architettura: sono evidenziate in un bel libro di Luciano  Crespi e Angelo Del Corso, non si sa quanto diffuso  nell’ambito di un approfondimento culturale e urbanistico.

Dal momento che noi varesini da… comaschi si diede qualche contributo  agli  eventi risorgimentali – eravamo l’estrema periferia  ovest di una provincia con capoluogo  il bimillenario  insediamento lariano- possiamo dire  che ci siamo inseriti a pieno titolo  nelle varie fasi della storia  contemporanea, locale e nazionale, solo dal 1945 in poi, vale a dire 18 anni dopo l’erezione di Varese a capoluogo di provincia.

E siamo andati di corsa  con primati  industriali, ambientali, culturali, sociali e sportivi  che hanno contrassegnato i tempi di un’epoca  che ha avuto  come avanguardia diverse individualità,  ma anche la comunità stessa grazie all’impegno, alla sensibilità e alla collaborazione di cittadini, affermatisi nelle loro professioni,  che agivano con rispetto  della democrazia oltre che amore e spirito di servizio alla città.

Quando verso la fine del ‘900 si scoprì che la politica poteva essere anche un mestiere redditizio   il Paese  rotolò verso il baratro.  Tanta arroganza  e stupidità le paghiamo noi oggi  con la tristezza di constatare che la politica non ha  però

capito molto: sarà magari un pizzico più pulita,  ma le succede ancora di credersi infallibile. E  capita allora  che il presidente della Camera, un  Fico già secco, dopo il risultato positivo di una votazione  saluti in diretta tv con il pugno chiuso.  Una incredibile mancanza di rispetto senza precedenti nei vertici  della  Prima Repubblica.

Nel nostro consiglio comunale  non siamo così malridotti,  ma   abbiamo   ancora un handicap insidioso, la presunzione di sapere  localmente  di tutto e di più, di essere gli unici depositari  del segreto della perfetta gestione  della città e del territorio.

Ci sono regolette  di rara ovvietà per essere candidati  alla carica di consigliere  comunale,  forse aiuterebbe molto una migliore   conoscenza  di vari aspetti della storia della  città, dalla gestione amministrativa a quella urbanistica, dalla scuola al lavoro, dalle scelte azzeccate ai  flop clamorosi  che ci sono stati anche nei periodi delle più importanti decisioni. Insomma conoscere  per poter decidere a vantaggio degli amministrati. È  appunto quello che si è fatto spesso  a Varese prima del boom negativo della Seconda Repubblica.

Se il consiglio comunale oggi in carica avesse in questi due anni seguito bene le gravi vicende  del malgoverno della sanità forse sarebbe stata molto  più costruttiva la seduta dedicata  al  rettore  accademico  che toglieva le tende  dopo  un buon governo delle altre facoltà dell’ateneo insubrico, ma   anche dopo  la resa da 8 settembre  di Medicina e   Chirurgia  ai ras regionali e alla loro riforma sanitaria, quella attuale che si presenta talmente bene da provocare sciopero e ribellione, clamorosi, da parte della totalità degli operatori sanitari.

La rabbiosa esplosione è avvenuta dopo annosi disagi e sofferenze inflitti alla popolazione dai riformatori regionali. Una situazione  da lungo tempo prevista e a  Varese da molto tempo denunciata dai cronisti di lungo corso e dalla  libera stampa.

A monte del crollo di un settore unico per la sua importanza, si sono evidenziate le difficoltà dei finanziamenti  regionali dei governi romani -tutti, nessuno escluso- responsabili  dell’epoca nera, altro che venerdì, della sanità.  Anni or sono

la Lombardia voleva il primato della qualità dell’assistenza e delle cure  ai suoi  abitanti, le premesse c’erano, poi Roma ha pensato bene di ridurre i finanziamenti per tappare altri buchi giudicati più  angosciosi; Milano forse avrebbe “tenuto” nonostante  qualche incursione della banda degli onesti, ma inchinandosi  ai leader  nazionali  ha preferito scegliere un percorso e un modello di riforma bugiardo e  anche traditore dagli elettori, un modello pure da stupidario mondiale: fare una riforma per la quale non c’erano soldi a sufficienza e per di più   sovvertendo  le modalità dell’azione: ospedali più piccoli e dedicati alle patologie acute (a Varese dimezzato  il Circolo) prima  di realizzare o disporre di strutture  pubbliche  dove accogliere  i pazienti  ancora bisognosi di cure dopo il ricovero   urgente. Oggi  è incalcolabile il  numero  dei malati  ribaltati dai letti dell’ospedale  e che hanno dovuto affidarsi a medici  e cliniche  di ambito privato o peggio sono a casa aiutati anche dai  medici di base  oltre che da  vicini o da amici e da volontari di   bella tradizione varesina.

Se avessimo avuto una classe politica locale più attenta,   bene informata, acculturata, consapevole  e libera,  tanto disastro sarebbe stato denunciato e combattuto.

Per noi  cittadini  dagli   eletti di casa nostra solo  silenzio e indifferenza davanti a incredibili decisioni spacciate   come sempre per miracoli dagli inviati da Milano. Che comunque  un record lo hanno stabilito: quello  della peggiore gestione di tutta la storia dell’Ospedale.

Per fortuna in Lombardia  noi  contiamo molto da sempre, ai vertici  della regione infatti non è mai mancata  gente di casa nostra. Adesso poi con Salvini  abbiamo   una guida alternativa del Centrodestra e forse ci attende un  futuro  ancora più radioso della sanità. Magari  con i ricoveri  in tende da ospedale  da campo.

È  una esagerazione, ma già la stampa aveva segnalato la singolare svolta, diciamo politica, al  Molina  e ce ne è voluto del tempo perché la politica correggesse la rotta.

Per una migliore gestione della sanità  nulla ha fatto anche  il  Pd perché  a Roma a sua volta molto aveva da farsi perdonare in tema di finanziamenti alla sanità.

A Varese più volte il Pd ha protestato in consiglio comunale  con Mirabelli e Corbetta.  Non silenziati, ma  inascoltati.

Sarà un gran  giorno per tutta la  comunità varesina quando la gente comune e gli operatori  della sanità   troveranno al loro fianco giunta e consiglieri,  tutti, a battersi contro la politica  sanitaria da predazione di Milano. Il sindaco  ha già fatto passi in questa direzione, piccoli ma significativi.

Tanta nebbia sul passato sanitario perché in Comune ci sono sì persone per bene, ma che evidentemente non conoscono la grande  storia  del nostro ospedale e nemmeno quella della giovane Università. Subito dopo il  1911  avevamo già un “Circolo”  di qualità, diventato strepitoso dagli  Anni ‘60  per l’intervento di industriali  illuminati e   per le gestioni di eccezionali professionisti.

Circolo  e Insubria oggi  sono le due più grandi aziende della città. E anche come tali vanno difese da chi non è capace di rispettare la storia e la memoria di una comunità.

Ecco perché meritiamo di  essere rappresentati  solo da chi ci conosce bene.

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