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Souvenir

MATASSE

ANNALISA MOTTA - 08/03/2019

matassaTrovare il bandolo della matassa non è mai semplice. Ma perché poi lo si deve cercare? Per poter lavorare il filo, ti risponderebbero con compatimento le massaie degli anni in cui golfini, calze e scialletti si sferruzzavano a mano.

Perché la matassa di lana o cotone è comoda da riporre e trasportare, da tingere e stendere, ma provatevi a districarne il filo, e mi saprete dire: un garbuglio da non credere.

 Quindi, la si deve trasformare in gomitolo. E qui salta fuori il ruolo dei mariti – quelli rassegnati – e dei bambini in genere. ”Piega le braccia, allargale un po’… metti le mani su in alto, così. E stai fermo, eh!”. E attorno attorno alle nostre braccine impazienti, la matassa infilata con cura come su due paletti veniva srotolata a poco a poco per formare un grossa palla di filo, pronta per il lavoro a maglia, a uncinetto, a telaio. La sosta forzata serviva poi egregiamente per ripassare le tabelline, i nomi delle Alpi (macongranpenalereticalagiù) o i numeri in francese.

E se proprio non trovavi un collaboratore, allora si usava la spalliera di una sedia (scomodissima, perché incapace di assecondare il movimento circolare con la dovuta ondulazione) e nei casi più fortunati, con l’arcolaio. Non so se sia il nome appropriato, noi lo chiamavamo così, quell’attrezzo di legno a forma di fuso, con base fissa e corpo girevole, dotato di quattro braccia estensibili su cui fissare in tensione la matassa, per svolgerla poi da capo a fondo.

Per le matassine di filo da ricamo era molto più semplice: le srotolavi avvolgendo poi il filo intorno a un cartoncino rettangolare, di solito una cartolina piegata in quattro, prima in un senso e poi nell’altro, per ottenere una sorta di dispenser di facile uso. Nel cassetto o nel cestino del cucito, i colori di tutto l’arcobaleno si schieravano così ben ordinati come in uno schedario d’ufficio, pronti per essere scelti, accostati, provati, scartati.

Anche la paglietta per “sgurare” le pentole (di ferro o allumino) la vendevano in matasse, e pure la stoppa che usavano gli idraulici, e i nastri per fare i pacchi regalo, e la fettuccia, il gros-grain e lo sbieco per i lavori di cucito. Ma date le ridotte dimensioni, usarle così com’erano non creava problemi.

 Le matasse tornavano invece indispensabili quando il golfino era troppo liso sui polsi o sui bordi, e andava disfatto per recuperare la lana ancora buona: prima aprivi il lavoro partendo dall’alto (guai a sbagliare verso, diventava impresa impossibile), tiravi e disfacevi, avvolgendo il filo in un gomitolo. Dal gomitolo rifacevi la matassa – col filo tutto ondulato e annodato com’era – che fermavi in due punti opposti con un legaccio di colore diverso: la lavavi con cura tirandola ben benino, poi la stendevi ad asciugare con un peso all’estremità per ridare alla vecchia lana o al cotone usato la consistenza e la lavorabilità originali.

E quando la matassa era ben asciutta e il filo tornato liscio quasi come nuovo, ahimè ricominciava la ricerca del bandolo…

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