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Cara Varese

L’INCOGNITA EMILIANA

PIERFAUSTO VEDANI - 22/11/2019

emiliaI trent’anni della scomparsa del muro di Berlino sono stati adeguatamente ricordati, specialmente in Europa, perché furono il primo grande evidente segnale della sconfitta dell’imperialismo sovietico. Che credeva di arruolare il mondo attorno alla bandiera rossa, improbabile simbolo del riscatto degli oppressi.

Il tonfo dei padri del comunismo fu doloroso anche per i fedelissimi italiani che si videro costretti a cambiare abiti e linguaggio dopo che il compagno Occhetto, il loro leader d’allora, a Bologna, appunto trent’anni or sono aveva segnalato la necessità assoluta di non ricordare più, attraverso parole, sigle e immagini, i tempi di lotta e di sacrifici di molti italiani per un progetto di riscatto sociale. Degno peraltro sempre di considerazione se ancora oggi viene ricordato mentre sfuma nel passato la figura dell’Occhetto.

Trent’anni dopo la fine del sogno della conquista del potere, magari al fianco delle repubbliche sovietiche, in Italia la sinistra progressista e democratica sta ancora cercando il suo ruolo, sollecitata anche da un elettorato in vena di punizioni dopo che gli eredi di un partito, che era veramente grande, non hanno ancora ritrovato unità di intenti.

Accade infatti che siano sempre incapaci, anche in questi ultimi anni, di darsi linea e programmi credibili. I nipotini di superstar come Togliatti, finissimo stratega, riempiono le piazze per ascoltare i pochi eredi di coloro che comunque diedero sostanza all’azione politica nazionale. Nostalgia tanta, ma alla fine indirizzano diversamente il loro voto, cominciando anche dall’astensione.

E così dopo il Totocalcio e l’Enalotto ci sono anche le anche incognite elettorali, a tenere banco tanto più che già in anni appena trascorsi ci sono state fior di sorprese se storiche roccaforti comuniste sono passate… al nemico. La “schedina” prossima avrà una certa importanza: il voto regionale in Emilia-Romagna, viene indicato come ultima trincea dei postcomunisti.

Fare previsioni non è facile anche per chi ha forti legami con una delle regioni sino a qualche anno fa meglio organizzate e tuttavia già colpita duramente dal dissenso se prima Parma e poi Ferrara, due città stupende per storia, arte e cultura, hanno lasciato nel tempo il fortino comunista.

Oggi l’Emilia dal punto di vista politico ha le diversità di un continente, l’ex Pci ha ancora forza e uomini, per esempio a Reggio Emilia e in genere nelle zone di pianura mentre altre realtà politiche sono sempre attive nelle vaste zone dell’Appennino – quelle che hanno dato spessore mondiale al lavoro nei caseifici – è successo alla fine che alle elezioni europee hanno però votato per Salvini. Dallo zero o poco più si è passati al 23 per cento pro Lega.

Possibile una ritorsione degli elettori, infatti l’Appennino reggiano si è visto togliere dalla sanità progressista – sorella degli incapaci di Lombardia – il suo punto nascite che è a quasi 50 chilometri dal nuovo ospedale di riferimento, quello di Reggio Emilia, naturalmente. Nella stagione invernale le future mammine dell’Appennino per raggiungere il loro ospedale di montagna, moderno ed efficiente, impiegano non meno 90 minuti. C’è in Italia anche uno sciocchezzaio della sanità.

Reggio Emilia oggi è invasa dagli stranieri, molti abitanti sono furibondi, insomma il credo dell’ospitalità Pd è stato applicato al massimo.

Il ministro Del Rio, gran brava persona, oggi ministro attivissimo a Roma, è stato sindaco a Reggio Emilia, per anni affettuosa culla della calabrese città di Cutro.Tanto che si è vista dedicare una via avendo, con migliaia di operai, contribuito a fare di Reggio la città con il più alto indice nazionale di fabbricazione.

Anche ai tempi dello splendore del Pci la gente dell’Appennino conquistava i suoi spazi senza pagare tributi a Mosca. Lo hanno fatto le comunità con cittadini esemplari per dedizione e coraggio, con parroci da sbarco, con lealtà nei confronti di tutti, avversari politici compresi.

E se dal territorio non arrivavano gli aiuti, c’erano sempre antichi emigranti che al Nord e a Roma peroravano la causa di bella gente, tale infatti era anche quella che magari aveva più fiducia in una provvidenza gestita – così ti garantivano i suoi apostoli – dal Peppino “d’acciaio”. Come appunto indicava il suo soprannome, Stalin.

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