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Opinioni

LA CHIESA, LA FEDE

EDOARDO ZIN - 24/01/2020

chiesa“…Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede non costituisce più un presupposto del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata”. Così papa Francesco ai membri della Curia romana in occasione della presentazione degli auguri per lo scorso Natale.

Penso che sia questa perentoria affermazione di papa Francesco una logica spiegazione per chiarire le tante dicerie dette o scritte in quest’ultimo tempo e nate dopo la pubblicazione di un libro riguardante il celibato ecclesiastico e di cui è stato scritto anche sulle pagine di questo giornale, la settimana scorsa.

Vorrei tralasciare i tanti contrasti sorti nel popolo cristiano a opera di molti teologi, esperti di storia ecclesiastica, canonisti, ognuno dei quali ha detto la sua per schierarsi chi da una parte, chi dall’altra, chi tra conservatori e chi tra i progressisti, chi tra trionfalisti e chi tra i mistici, o tra nostalgici o tra i profetici, tra chi, possedendo lo strumento giuridico, scambia la forma per sostanza e chi, al contrario, è capace di proclamare la forza del Vangelo con la fierezza della sua testimonianza di vita.

Anzitutto vorrei dire che il cristianesimo non va confuso con la cristianità. Il cristianesimo non è una concezione del mondo e della vita, non è una teoria, anche se implica una dottrina, ma non è una dottrina tra le altre, non è una morale: è la fede in Gesù, che si è fatto uomo tra gli uomini, in Gesù che è venuto ad abitare tra gli uomini, è entrato nella storia. La Chiesa continua oggi l’opera di Gesù. Attraverso i secoli, essa si è incarnata nella storia diventando talvolta “civiltà”, ponendo sullo stesso piano gli autentici valori del Vangelo con quelli contingenti del tempo storico tramutandoli spesso in strumenti di diffusione del cristianesimo, se non di sostegno per il potere della Chiesa, potere che non è di questo mondo. Il cristianesimo non è legato ad alcun tempo né ad alcuno spazio, esso trascende le civiltà della storia e non va confuso con alcuna di esse. Mutando la storia, muta il costume e con esso i valori che in esso sono radicati. Quando il cristianesimo trova sostegno nelle realtà passeggere e ne assume i valori che possono mutare, diventa cristianità.

I cristiani del Medioevo ponevano sullo stesso piano la preghiera e le crociate. Il cristianesimo in alcuni paesi si diffuse non per attrazione, ma con la spada, come successe in Francia quando re Clodoveo chiese il battesimo e automaticamente i suoi sudditi divennero cristiani. In tempi più recenti, nella società pre-industriale, si tenevano le rogazioni, cioè delle processioni lungo i viottoli dei campi, per chiedere la protezione divina sui raccolti (ed anch’io ho nostalgia di queste camminate!).

 Oggi questo rito è impensabile perché l’organizzazione economica moderna ha lacerato questo stile pastorale. Le feste patronali erano occasione per fiere del bestiame, per gare sportive, per esibizioni musicali ed anche per una presenza massiccia alla Messa. Oggi si stanno scrostando questi antichi depositi storici e si sta riportando in luce l’autentico significato della festa, come momento di aggregazione e di gioia di una comunità.

Nella Chiesa d’oggi ci sono più uomini religiosi che credenti. Scambiano la fede con la cristianità, difendono valori della cristianità che, appunto perché contingenti, non sono assoluti, salvaguardano il vecchio come se fosse eterno, la loro voce ha il timbro della nostalgia, tutelano il prestigio di un passato che è morto.

Essendo la cristianità inoltre ingrediente prezioso e saldo di un’identità politica, alcuni politici e governi tentano di servirsene a scopi temporali. Anche molti clericali, laici e religiosi, tentano di ricostruire il volto ormai in dissoluzione della cristianità. Manca a costoro il senso della relatività delle cose passeggere.

Sono questi cristiani che hanno paura perché hanno una fede fragile: temono che papa Francesco sia ingenuo e poco autorevole, che gli manchi il coraggio di esercitare il ministero della condanna, che sia demagogico nel dare segni di discontinuità nello stile papale, nei simboli, negli abiti pontificali o immettendo dei laici ai vertici dei dicasteri della Curia romana.

Il mondo di questa gente non è più quello evangelico. Questo mondo ha perso il senso realistico dell’Incarnazione, compromettendo così, sia a livello della vita religiosa che della presenza storica, l’efficienza di una Chiesa aperta, che ha l’audacia di uscire verso le periferie esistenziali del mondo, di una Chiesa in cammino verso il futuro e che non si volge indietro verso il passato.

Papa Francesco, sia nei gesti sia nelle parole, ha instaurato un nuovo stile pastorale che privilegia a una Chiesa ferma, una in movimento, “in uscita” – come egli dice – a una Chiesa chiusa nel recinto del suo orto, nei propri convincimenti considerati inamovibili e che rischiano di chiudere l’orizzonte che è Dio, una Chiesa aperta rispettosa delle diversità nell’unità che cammina sinodalmente con il successore di Pietro, più ricca e più efficace nell’evangelizzazione.

 Francesco, più della condanna, pratica il dialogo, più del parlare preferisce l’ascoltare, più dell’esclusione ama l’inclusione. Egli vede nella Chiesa “un ospedale da campo” ove curare i poveri, gli ultimi, gli scartati e chiede ai pastori di non stare davanti al loro popolo, ma in mezzo ad esso in modo che possano portarsi addosso “l’odore delle pecore”. Non ha esitato a sferzare la Curia indicando le patologie tipiche del potere.

In questo scenario va posta la rissa tra “progressisti” e “conservatori”. Penso che il vescovo Joseph Ratzinger, che tale è dopo aver rinunciato al pontificato, viva il dramma interiore di chi capisce di essere stato raggirato da coloro che, per fare trionfare le loro ossessioni, non hanno esitato a ingannarlo. Chi l’ha abbindolato si sentirà come il capitano che affonda con la nave. Proprio a costoro vorrei rivolgere l’invito – che traggo da un pensiero di Antoine de Saint Exupéry – di non preoccuparsi tanto di adunare gli uomini per raccogliere legname, di preparare attrezzi, di affidare incarichi e distribuire lavoro per costruire una nuova imbarcazione. Fosse anche quella di Pietro. Vedano piuttosto di risvegliare nel loro animo la nostalgia del mare e della sua sconfinata grandezza.

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