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Il punto blu

DISCANTI

DINO AZZALIN - 07/02/2020

Sandro Sardella

Sandro Sardella

Ho conosciuto Sandro non so quando e non so come, ma sicuramente tanti, tantissimi anni fa. Lui fondatore con Giovanni Garancini dei quaderni di scrittura operaia “Abiti Lavoro” (1983-1993) una rivista di critica letteraria e di poesia, che ha avuto certo riscontro nella controcultura di allora.

 Ma che cosa sono gli anni di fronte al tempo e alla poesia? Nulla, solo una breve parentesi in cui ogni esistenza umana si esprime con le proprie azioni, con le proprie opere, che sono prima il nome e poi il cognome che il destino dà alle nostre vite.

 Di Sandro Sardella mi sono sempre piaciuti la coerenza, la fermezza, la solidarietà verso gli ultimi – i migranti, gli emarginati –, il “discanto”, la diversità e la naturalezza nel parlare dei suoi lavori, delle sue tele, e delle sue idee.

“Di acqua e di respiri / di passi sparsi / di bocconi di vento…” tanto per mimare il discanto di Ivano Fossati, poesia appunto, che può diventare uno strumento per raggiungere tutto questo, per ribellarsi, per dare voce ad una coscienza civile, per lanciare messaggi, per combattere battaglie.

 Semplicemente per raccontare la vita in un modo diverso, dando quindi uno sguardo alternativo, a quel che accade nel mondo seguendo una linea rosso-blu. Nelle parole di Marco Tavazzi giornalista e poeta a cui devo l’incontro del tanto controverso Limonov, colgo una sorta di verità incontrastabile quando parla di Sandro che non può che identificarsi nel pensiero e nelle idee di Jack Hirschman, gigante della poesia globale, non globalizzata certo, che è il miglior esempio di tutto questo.

 E in Italia, a Varese, non si può parlare di Jack Hirschman senza parlare di Sandro Sardella, l’operaio (ormai in pensione) e poeta, amico di lunga data del poeta americano figlio della beat/generation, con il quale condivide la passione per la poesia e la libertà. “Puoi leggere infiniti versi, ma sono pochi quelli che ti cambieranno la vita”.

 E lui non è mai mancato ai nostri appuntamenti di poesia, libero da conventicole e linee di tendenza anzi… di essere li solo per far vivere la poesie.

Quindi ho pensato di interrogarlo sui temi a lui più cari.

1 – “Poesia operaia”… (definizione coniata da Pasolini

vedendo l’esigenza di chi vive una condizione di poterla esprimere con la scrittura direttamente senza la mediazione dell’intellettuale di mestiere… ).

La poesia operaia per me è stata una grande esperienza individuale (vedi per esempio “Sandrino operaio stupidino”… una sorta di autobiografia dal mondo del

lavoro ma… che per frammenti e spezzoni intrigati dall’incontro con le avanguardie del ‘900. .. scappa dalla tradizione neorealista o tardo socialista).

E la collettiva con l’esperienza di “abiti-lavoro” – quaderni di scrittura operaia – ho fatto l’operaio metalmeccanico dal 1974 al 1982 alla Piaggio-Gilera di Arcore…

 Vivevo la militanza politica e sindacale con un certo strabismo… Leggevo i poeti beat Ungaretti Rimbaud Char, frequentavo i concerti rock e jazz.. e sentivo che la scrittura politica e sindacale era arida ingessata quasi senza sentimento…

Intanto avevo scoperto i libri di Vincenzo Guerrazzi, di Ferruccio Brugnaro, di Luigi Di Ruscio, il “Tuta blu” di Tommaso Di Ciaula,. il “Vogliamo tutto” di Balestrini. E così con Giovanni Garancini che lavorava all’Autobianchi di Desio l’idea di una rivista che facesse emergere le realtà di scritture dal mondo del lavoro.

E nel 1980 il n. 0. La nascita di una redazione, non un cenacolo ma un laboratorio, un’esperienza di oltre 1000 pagine durata sino al 1993 dove decine di autori si sono fatti le ossa.

Negli anni della fabbrica, vedendo l’esperienza dei volantini di poesia di Brugnaro a Marghera e “Le descrizioni in atto” di Roberto Roversi distribuite ciclostilate anch’io facevo volantini ciclostilati con poesie pensierini filastrocche, istruzioni che distribuivo ai cancelli firmandoli “Sandrino operaio stupidino”.

Negli anni della posta turnista allo smistamento a Varese verso la fine degli anni ’90 i volantini divennero fotocopiati. I volantini ciclostilati e fotocopiati sono poi stati raccolti in “Carte ciclostilate”- 1978-2011 – editi da “abrigliasciolta” in Varese nel 2011.

2 – La poesia di impegno civile. Penso che uomo di segno (come mi piace dire) non posso fare a meno di ascoltare e vedere fuori da me stesso. Sono infastidito dalla poesia bomboniera compiaciuta autoreferenziale, la trovo soporifera e che tiene lontano. Il. il vivere è ricco di suoni luci ombre silenzi amori drammi condizioni miserie materiali e spirituali. La poesia forse può aiutare ad avvicinarci alle nostre profondità. Ma non solo. Anche alle altezze e alle bassezze. La poesia trabocca volteggia, la poesia torna leggenda, le parole possono essere affilati insulti e fragilissime estasi. Ho ho avuto l’ardire di fare poesia tra cementi e reparti fumosi e rumorosi. Forse anche di dare una presenza a a situazioni escluse marginali e silenziate. Con i volantini, con piccole pubblicazioni ho incontrato spesso persone che non avrebbero mai letto una sola poesia dopo quelle d’obbligo della scuola. Penso che la cultura debba aprire e non creare steccati. Evito la cortigianeria, preferisco la strada i luoghi non deputati, leggere ad alta voce. Pratico una poesia “incivile”.

3 – L’esperienza americana. Nel luglio 2012 sono stato invitato all’International Poetry Festival di San Francisco. Un fulmine a ciel sereno! Conosco Jack Hirschman, poeta pittore traduttore militante politico contro le guerre a fianco delle lotte dei senza casa. Lo conosco dal 1993. Ha tradotto e fatto pubblicare a San Diego in California i miei “Coriandoli” nel 1996. In modo sornione da tempo mi diceva: “Sandro presto o tardi tu verrai in San Francisco!2. E quando di colpo mi son trovato nella città mitica della beat generation della controcultura dei Jefferson Airplane dei Grateful Dead… Beh, che botta! Spesato, pagato, ospitato anche una mostra personale alla Emerald Tablet Gallery in North Beach, il quartiere italiano dove si trova la libreria City Lights, il caffè Trieste, il caffè Vesuvio.

Ho incontrato e letto con Ferlinghetti, Amiri Baraka, Agneta Falk, Jack Hirschman, Antonieta Villamil, Matt Sedillo… (Ferlinghetti e Baraka li leggevo da giovincello e trovarmi di fianco e di fronte a loro… Un vero e proprio esame, un corso accelerato).

Due letture. Eravamo diciotto di varie parti del mondo. Nella piazza centrale di S.F. e l’altra nella galleria dove c’era la mia mostra.

Jack mi disse orgoglioso: “Sandro tu leggi e scrivi come un americano ma sei un italiano!”

Dopo quell’esperienza, così caricato e scoprendo quanto le letture beat giovanili avessero depositato mi si è allargato il respiro poetico e ho cominciato a scrivere quelle lunghe poesie da reading che intitolo: “Discanti”. Il primo: “Discanto in San Francisco”, pubblicato da “abrigliasciolta”

con traduzione di J.Hirschman, nota di di G.Trimeri, copertina di A. Falk. È una sorta di reportage poetico dell’esperienza americana, scritto quando Dino Azzalin mi disse: “Ma perché non scrivi qualcosa non racconti?”.

Intanto i Discanti sgorgano allo scoperto come torrenti carsici. Li pubblico sparsi in piccole edizioni d’arte o fotocopiate con coraggiosi editori.

Ogni anno in San Francisco esce un’antologia “Overthrowing Capitalism” (Per la caduta del capitalismo) con poeti di varie parti del mondo a cura della Revolutionary Poets Brigade, dove in quasi tutti i volumi hanno pubblicato mie poesie e disegni (il Vol.4 in copertina ha un mio lavoro). In fase ultimativa à la preparazione di un libro di mie poesie a cura di Jack Hirschman, tradotte in americano per la pubblicazione in California.

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