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Il punto blu

IL GRANDE SONNO

DINO AZZALIN - 30/09/2022

Rifiuti nelle vie di Zanzibar

Rifiuti nelle vie di Zanzibar

Oggi mi sono alzato immerso in una sorta di notte boreale e ho detto a mio figlio “Vorrei essere a Zanzibar”, una frase banale se non fosse che ho aggiunto “a vivere”; e questo mi ha fatto insospettire perché, per la prima volta nella mia vita, si fa strada un pensiero inquietante: non trovarmi più bene nel luogo in cui vivo.

Una voglia di fuga, certo, ma come ha scritto Elio, “io che pensavo di godermi la pensione ho già visto troppo: Covid, lockdown, mascherine, la vittoria del centrodestra, e tra un po’ un paio di bombe atomiche sganciate da Putin…”, giusto per non farci mancare nulla. Ma anche a Zanzibar cioè dietro “il non luogo” patinato e finto neanche il più manicheo riuscirebbe a definire un posto bello se appena dietro ai grandi e lussuosissimi alberghi si annida una povertà feroce.

E se al posto dell’acqua limpida e calda, o della sabbia bianca e dell’orizzonte, ci fossero palazzoni, grattacieli, baracche, sporcizia e povertà, Zanzibar di colpo diverrebbe il luogo più brutto e inospitale del Pianeta dove più nessuno verrebbe. E allora mi sono chiesto perché noi come genere umano ci ostiniamo e rendere inospitali i luoghi che viviamo?

O è solo l’incipiente avanzare dell’età o la riflessione in tempi di bilanci che s’appressa a dipingere di nero i muri di Varese, o è la città in cui vivo che non dà più i frutti che dovrebbe dare. Vedo sempre più una movida della più bella gioventù, in preda al cicaleccio alcolico, ai social, ai trucchi di Instagram, dove apparire è sempre più importante che essere, dove alle iniziative culturali ci sono sempre troppe teste bianche.

Nostalgia? Non so, forse! Di un passato nemmeno tanto lontano in cui i giovani fondavano radio libere, facevano ciclostili in proprio, giravano l’Europa con l’autostop o con l’inter-rail, fondavano movimenti, fissavano riunioni, facevano l’amore libero ed erano gli illusi padroni del tempo.

L’orrore di non avere fatto abbastanza per una torma di gioventù sempre più disorientata e fragile, sempre più disillusa, il cui valore viene negato ed è in fuga dall’Italia e dalle nostre città che non offrono alternative e lavoro. Qualche giorno fa mio figlio mi ha detto: “Papà in Italia non è neanche facile crescere”, noi che i nostri padri hanno dato un lavoro, i nostri nonni lo hanno dato ai nostri padri, noi non riusciamo a garantire un futuro ai nostri figli. E per di più, Varese trasformata in “Varese città di un razzismo” strisciante e obsoleto, verso immigrati già vittime di trafficanti di esseri umani, arrivati qui dopo terribili privazioni non in treno o su comode poltrone di navi o di aerei, ma coi barconi della morte, costretti poi e quasi sempre alla marginalità e alla sussistenza. E non ci sono comitati a riceverli ma una umana accoglienza a volte ostile e sospettosa.

Non mi spaventa un governo con la Meloni, se questo è il volere del popolo. Jean Jacques Rousseau filosofo e illuminista scrive che in uno Stato in cui la sovranità appartiene al popolo, il modello di democrazia diretta si esprime nel voto e aggiunge “io non la penso come te, ma darei la vita perché la tua idea venisse sempre rispettata”. Quello che importa è che venga rispettata la Costituzione! E mi spaventano di più le guerre anche se lontane, o la repressione in Iran, in Afghanistan, e una certa indifferenza della placida borghesia Occidentale.

Varese è come Zanzibar, basta andare dietro le nostre case e passare da via Bernardino Luini all’ora dei pasti distribuiti dalle suore e potete davvero capire che i tempi sono cambiati. Dietro o dentro alle nostre case c’è spesso l’indifferenza con cui il nostro pensiero si accompagna a una realtà ogni giorno più sconvolgente. Varese è sempre stata una città generosa e laboriosa, un tempo anche Città Giardino, tra i redditi più alti della penisola; che accoglie chi desidera una chance di vita migliore. Senza cultura ogni città diventa moscia, decrepita, uggiosa, priva di suggestioni, stimoli, e dinamiche attrattive.

Dove ci condurrà questa deriva? Solo questo ci deve preoccupare e non c’è Zanzibar che tenga. Allora si capisce davvero che il caro bollette, la rottamazione di cartelle, l’aiuto alle imprese, alle famiglie, non sono una questione di spot elettorali, ma del nostro culpa mea culpa, del nostro sonno, del nostro pensiero soporifero, della nostra letargica indifferenza di elettori e della nostra incapacità di indignarci.

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