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Attualità

QUEL GESTO

EDOARDO ZIN - 10/04/2020

acquaOrmai anziano, possiedo una memoria “telescopica” che rievoca il passato remoto e annulla quello recente.

Tra gli avvenimenti che hanno costellato la mia infanzia, oggi, avvicinandosi la Pasqua, mi ritrovo a rammentare come vivevo a quell’età il sabato santo.

Al momento del “Gloria”, verso le 11, le campane si scioglievano a festa per annunciare che Cristo era risorto. Precipitosa, mia madre mi prendeva per mano e mi conduceva a una vicina sorgente d’acqua chiara e cristallina, si abbassava, prendeva con la conca delle mani un po’ d’acqua, bagnava i miei occhi dicendo: “Acqua nuova, acqua santa: apri questi occhi ostruiti dalle lacrime!”. Più tardi, verso l’adolescenza, cambiava la formula: “Acqua nuova, acqua santa: che i suoi occhi vedano sempre la bellezza!”.

Mia madre non era una teologa, né tanto meno una liturgista, ma aveva eredita dalla sua mamma questo gesto che esprimeva un rito domestico.

In questi giorni di passione, in cui alla segregazione in casa si unisce un silenzio imbronciato, ho riflettuto su questo sciolto gesto materno: l’occhio reso vischioso dalle lacrime per le molte sofferenze che proviamo potrebbe purificarsi con la nuova acqua della Pasqua per farci riacquistare serenità interiore, pace e bellezza? Il viso lavato dalle lacrime potrebbe diventare indicibilmente bello?

Sì, anche quest’anno, nonostante la stagione che scorre intrecciando dolore e altruismo solidale, è Pasqua. Non potremo riunirci in chiesa attorno al fuoco nuovo, al cero pasquale per inneggiare la nostra esultanza al Cristo risorto, ascoltare le tappe della storia della salvezza, benedire l’acqua che diverrà lavacro per chi vorrà passare dalla vita vecchia alla vita nuova nel battesimo.

Nella notte in cui vita e morte s’incontreranno, potremo solo assistere da casa, ma non unirci alla comunità. Ascolteremo la Parola che interiorizza, incoraggia, sprona ad avere fiducia. Non ci sarà possibile accedere alla mensa comune, in cui Cristo si dona a chi lo riceve. Lo svelamento del Mistero avverrà nell’interiore del cuore e la presenza del Risorto ci donerà forza per restare saldi nelle contrarietà di questi giorni e fermi nell’attesa di giorni migliori. Il Risorto sarà presente nella famiglia divenuta “piccola Chiesa”.

Nel passato, “fare Pasqua” voleva dire accostarsi alla Comunione e alla Confessione: era il tempo in cui l’osservanza della norma padroneggiava sullo spirito della norma, sul fremito della coscienza e del motore interiore della fede.

Oggi, “fare Pasqua” vuol dire passare da una vita senza significato a una vita che ha senso, vuol dire distruggere la stanchezza del ripetuto nella coscienza dell’inedito.

Ciò che è vecchio muoia! Ogni cosa che muore, come ogni cosa che incomincia a vivere: questa è Pasqua! Anche quest’anno Pasqua ci farà uscire dal sepolcro col comando di andare verso gli altri. È penoso essere costretti a non uscire di casa, ma lo è di più se resteremo chiusi nei ristretti cenacoli, nelle sacrestie odoranti di muffa, nelle conventicole dove ci si trova bene perché tutti la pensano allo stesso modo. Se tutto rimanesse così, finiremmo sotto i crolli di un’umanità che sta per declinare.

Vorrei “fare Pasqua” anch’io cercando di vedere se le mie carte di uomo, di cristiano, di cittadino, di padre sono in regola. Vorrei accorgermi se la mia fede è invasa da tutte le angustie di questi giorni o se sotto quel nome non contrabbando forse la difesa del mio vivere a cui è risparmiata tanta disperazione.

Vorrei che “facesse Pasqua” la nostra Patria (oso usare questa parola che non può essere possesso di alcuni perché è di tutti “la terra dei nostri padri”!). Ritorni a essere un bene comune e non un luogo di fazioni, di lotte ideologiche, perfino di angherie verso i miserabili!

Deve “fare Pasqua” la società dove l’odio e la violenza dominano sulla compassione e la solidarietà. Tutti vogliamo un mondo migliore, una società più giusta, tutti siamo per le riforme, ma non usiamo la sola medicina che guarisce: la Carità. Anche in questi giorni abbiamo assistito alla spettacolarizzazione delle sofferenze, la spietatezza verso i più deboli e abbiamo chiuso il nostro cuore alla pietà.

Deve “far Pasqua” la casa comune: questa dolce casa di terra, di acqua, di prati, di boschi. Questa terra che fino a pochi giorni fa sembrava morta e ora rivive nell’odore dell’erba appena nata che inverdisce il giardino e lo decora di pratoline bianche.

Deve “fare Pasqua” chi mette insieme pesanti fardelli per caricarli sulle spalle degli altri, senza smuovere nemmeno un dito.

Deve “fare Pasqua” chi trascura la giustizia, la misericordia, chi dimentica i derelitti, i detenuti, i senza dimora, i migranti, chi compie piccoli passi verso la barbarie.

Questi pensieri diventano parole la domenica delle Palme. Ho assistito al rito celebrato dal Papa, ho ascoltato il vangelo della Passione raccontato da Matteo. Il regista televisivo ha insistito nel farmi contemplare il Crocifisso lacerato, lordo, affannato, con le pupille vitree, il sangue che sgorga. Oggi Cristo mi offre la pena torbida, rigonfia, tumefatta della sua sconfitta, ma penso che da questo scempio inaudito ogni speranza slancia le ali e si fa colomba.

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