Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Quartieri

IMMUTABILE, STANCA

DEDO ROSSI - 05/06/2020

Ogni quartiere di Varese conserva i suoi odori. Belforte di tigli, Biumo inferiore di kebab, Biumo superiore di erba e di cavalli. E poi Giubiano, che sa di ospedali e di treni. O Masnago, che sa di poco.

Ad ogni angolo di strada, avendo io ora il tempo e gli anni, si può scoprire quello che Varese avrebbe potuto essere e non è stata. E si coglie chiaro quel volare basso, quella assenza di un sogno, quello che ha fatto nel tempo la differenza con Bergamo, con Brescia, con Mantova. E perfino con Como, con la rivale e distaccata Como.

Eppure negli anni molte volte si era presentata la sensazione chiara che si fosse lì ad un passo dal grande salto, quel salto che fa di un insieme di case una città, di un dettaglio un richiamo.

Alcuni pensano che si fosse lì per fare un salto, come città, quando televisioni da tutto il mondo erano venute a Varese per raccontare il “fenomeno-Lega”, quella avventura di quattro gatti che avevano, piaccia o no, realizzato il loro sogno. Con i loro cartelli di “Roma ladrona” e altri slogan erano arrivati a conquistare il Comune di Varese cavalcando un disagio e una carica moralizzatrice di cui molti in quegli anni sentivano il bisogno. Questa rivoluzione avrebbe potuto rappresentare un fenomeno nuovo per ripensare alla città? Alcuni avevano pensato di sì, se si tiene conto che su questo carro, superando il folklore, erano saliti anche nomi di prestigio: Luigi Zanzi, Enrico Baj, Francesco Ogliari, tanto per citarne qualcuno, a fianco di Raimondo Fassa sindaco, un intellettuale sconosciuto, colto e cortese. Ecco, secondo alcuni interpreti della realtà, quello è stato un momento in cui Varese avrebbe potuto essere e non è stata. Sappiamo poi come è andata.

Altro esempio: l’avventura di Villa Panza e il sogno di un Museo Guggenheim. Era il 1990 e forse la maggior operazione culturale del dopoguerra sembrava un sogno lì a portata di mano. Si era arrivati già ad un accordo tra il conte Panza e Mr. Krenz, direttore del Museo americano. C’è chi sostiene che il potenziale culturale, turistico ed economico non sia stato capito e di conseguenza non voluto con tenacia. Sarebbe bastato crederci, si era poi detto. L’esempio di Lugano era lì da vedere. Non era solo un’operazione culturale. Era anche un affare. Aveva sostenuto in un’intervista il conte Panza: “Quando a Lugano ci sono mostre della Collezione Thyssen il giro d’affari della città aumenta del 30 per cento. La stessa cosa può succedere a Varese”. E anche qui sappiamo come è andata.

Allora ti accorgi che Varese è questa. Questo dare sempre l’impressione di essere lì ad un passo da qualcosa e poi non concludere. E’ stato così per tante cose: un parlare per decenni di un teatro e poi realizzare in pratica poco più di un tendone. Un parlare di “Land of tourism” (già sulla scelta del nome ci sarebbe da dire) e limitarsi a pensare come la Pro Loco di un paesino.

C’era voluto monsignor Macchi, capace di una “visione” e abile nelle relazioni, per realizzare uno dei pochi grandi progetti della città, quello delle cappelle del Sacro Monte. C’era voluto un altro “visionario”, come il professor Furia, per mettere in moto in precedenza il Parco del Campo dei Fiori, con le amministrazioni comunali contro. Per il resto, tra le cose realizzate: la pista ciclopedonale del lago, opera voluta dalla Amministrazione Provinciale. Per altre cose, vedete voi. E quelli che a noi vengono presentati oggi come grandi progetti, come la sistemazione dell’area delle stazioni o piazza Repubblica, in fondo sarebbero poco più che ordinaria amministrazione in una città capace di “visioni”. E soprattutto per le iniziative riguardanti la cultura siamo rimasti una piccola città di provincia, appunto senza acuti. La stessa incidenza culturale dell’Università, per la città, non è stata rivoluzionaria, non ha provocato un cambio di rotta.

Varese è un tormento eterno. Ha avuto la capacità di crearsi da sé i problemi e ha avuto la tortura di non saperli poi risolvere.

E’ passata, nell’amministrazione della città, gente per bene e gente per male. Gente che ha percorso con la stessa disinvoltura i corridoi di Palazzo Estense e quelli che dalle celle conducono ai cortili per l’ora d’aria. Ma anche dignitosamente tanti, negli anni, che ci hanno messo la faccia e con buona volontà anche il cuore. Gente che è partita con l’intenzione di fare grandi cose, di dare una svolta, di girare pagina. Ma alle fine con risultati spesso inferiori alle speranze e agli enunciati.

Varese resta una città di margine, forse immutabile e stanca. Una città ai margini delle città che contano, ai margini di Milano e di Lugano, e perfino dei grandi laghi che portano ricchezza con le presenze straniere. E oggi forse ai margini dell’economia che guarda avanti. Forse ai margini di se stessa, con le mille occasioni perse nella sua storia industriale e nella storia del turismo.

Quella di Varese è rimasta, in sintesi, una storia d’amore, di un amore che avrebbe potuto essere incanto e sentimento. O anche passione che sa travolgere. Ed è rimasta invece un povero tran-tran, come la vita di una coppia che ormai tira sera, che non ha più progetti alti e che non ha forse neppure più tanta memoria.

Eppure a guardarla da lontano, questa storia d’amore, in alcuni attimi sa ancora creare emozioni. E’ soprattutto il territorio che affascina. L’arrivo dall’autostrada, con il Rosa e il lago e il verde che sembra ancora più verde, muove ancora orgoglio di appartenenza e segna bellezza. O dal Sacro Monte lo sguardo sulla pianura nei giorni di vento rende fieri di questa terra. E poi la gente : è da sottolineare la ricchezza delle iniziative di solidarietà di questa città. Ma questo è un altro campo.

A Varese a fare gli onori di casa resta la natura, il caso (o il buon Dio) che ha regalato questa terra. Non l’uomo, non le scelte di chi avrebbe dovuto scegliere.

Forse è proprio così. Forse è bene smettere di chiederci come sarebbe andata se non fosse andata come è andata.

E andare avanti.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login