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Storia

L’ALTRA METÀ DEL CIELO

LIVIO GHIRINGHELLI - 20/04/2012

Lungo è stato il cammino della cosiddetta emancipazione femminile in Italia, dall’epoca in cui (legge 1176 del 1919) era concesso alle donne l’accesso alle professioni e ai pubblici impieghi “al pari degli uomini”, ma con esclusione dei diritti politici, dall’esercizio dei poteri giurisdizionali e dalle funzioni militari. Poi dopo la Liberazione l’espressione del voto in occasione del referendum per la Repubblica il 2 giugno 1946, l’ammissione nel 1960 con funzioni limitate a vestire la divisa della Polizia di Stato e le prime toghe in rosa tra i giudici ordinari il 5 aprile 1965. La riforma del Codice civile ha fatto parlare di pari opportunità nel matrimonio a far data dal 1975. Il movimento generale di contestazione cominciava a dare i suoi frutti.

La situazione attuale però dice ancora di traguardi non raggiunti dal punto di vista dell’uguaglianza: nelle Camere le elette risultano tuttora inferiori nella presenza (meno del 20% del totale); nei ruoli direttivi vari, a prescindere dalle questioni di merito, in ragione soprattutto della gestazione e delle cure parentali, le donne figurano quali mosche bianche. Di contro può stupire il fatto che le iscritte alle specialità chirurgiche assommano ormai al 60%. Tra le alte cariche dello Stato è da ricordare l’elezione di Nilde Iotti alla Presidenza della Camera il 20 giugno 1979 (primo caso nella storia delle nostre istituzioni).

In campo cattolico nel 1908 venne fondata l’Unione fra le donne cattoliche d’Italia, presidente Maria Cristina Giustiniani Bandini e di un femminismo cristiano nel primo decennio del 1900 si può parlare per l’impegno di Adelaide Coari (1881-1966), fondatrice del Fascio femminile democratico-cristiano, direttrice del periodico Pensiero e azione (1904-1908), promotrice nel 1907 del Programma minimo femminista; godeva delle simpatie e del sostegno del cardinal Ferrari e di monsignor Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo. Contemporanea l’opera di Adele Colombo, ideatrice della Lega cattolica femminile per la rigenerazione del lavoro. Né si può dimenticare Armida Barelli, fondatrice della Gioventù femminile.

Al giorno d’oggi nel mentre sotto il termine d’uguaglianza va sottolineata della donna la pari dignità, in termini di persona e di opportunità, la differenza di genere non può implicare alcuna subordinazione. Sotto la voce differenza non può iscriversi una rigida partizione dei ruoli sociali; il concetto di reciprocità comporta la valorizzazione tra uomo e donna delle rispettive autonomie fra due interi, non dandosi complementarietà fra soggetti dimidiati.

L’accento batte sul versante femminile sulla cosiddetta etica della cura, estensibile oltre la sfera privata e domestica, date anche la speciale sensibilità, la competenza ed esperienza in tale campo, senza alcuna subalternità o costrizione. Si tratta peraltro di una cura che non inibisca ogni altro interesse. In primo piano la sollecitudine, la preoccupazione, l’accuratezza, la naturale destinazione all’assistenza. Di contro allo spirito di competizione ossessiva, la volontà di dominio e di possesso dell’uomo e di contro alla deriva burocratica e professionale da ceto politico separato si accampano il coinvolgimento etico ed emotivo della donna, l’attenzione alla globalità dei bisogni e dei valori, la concretezza, il carattere antiideologico, il realismo.

D’altro canto ci si deve dar conto che l’identità sessuale non può essere ricondotta esclusivamente alla differenza legata al sesso biologico; ci si deve riferire anche e in primo luogo ad un insieme di fattori sociali e culturali, che esercitano un ruolo decisivo nel costituirsi della coscienza di sé. Di fronte alla posizione cattolica tradizionale assolutista che privilegia la portata della base biologica del sesso ci si deve rivolgere a una visione più attenta della complessità e globalità dell’umano, dei vissuti personali, dei processi strutturali e culturali della società, col superamento dei pregiudizi.

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