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Attualità

INSIEME

EDOARDO ZIN - 07/05/2021

europa9 maggio 1950: prende corpo l’idea politica più feconda del XX secolo. Robert Schuman, sotto i sontuosi lampadari del salone dell’Orologio del Ministero degli Esteri francese, con voce roca e un po’ strozzata, lancia l’idea dell’unità europea fondata sulla “comunione” di ferro e di carbone, due materie prime che, da armi di guerra, diventeranno acciaio e fonte di energia per rilanciare l’economia dell’Europa disfatta da una guerra mostruosa. Schuman definisce lo spirito della sua iniziativa: riconciliazione tra Francia e Germania, assicurazione di pace al continente nella solidarietà e nella prosperità attraverso istituzioni sovra-nazionali, “prima tappa verso la federazione europea”.

I giornalisti pongono domande: “L’U.R.S.S. potrebbe aderire alla Comunità?” Schuman, astuto, risponde:” E perché no? “. Questo “sì” prenderà il suo pieno significato quaranta anni più tardi. A un giornalista americano che gli chiede quale sarà la sorte della sua iniziativa, il ministro risponde: “Ho fatto a tutti una proposta. Non so quale sarà il suo destino. Resta agli Stati rispondere!” I sei paesi diventeranno ventisette!

Probabilmente è apocrifo, il gesto compiuto da Schuman che, al termine della conferenza stampa, prende sotto braccio Jean Monnet e, avviandosi verso l’uscita, gli sussurra: “E ora, occorre darle un’anima!”. È autentica, al contrario, l’espressione di Monnet che, nelle sue “Memorie”, scrive:” Se dovessi incominciare daccapo, incomincerei dalla cultura”.

Un’anima, una cultura, uno spirito dovranno animare questo progetto economico che, prima di essere un cammino verso l’unità, è un’idea. Schuman ha potuto superare ostacoli quasi invincibili, compiere sforzi impensabili, creare traguardi da raggiungere che potevano sembrare impervi. Non avremmo oggi un libero mercato comune, la circolazione di uomini, merci e capitali, i confini aperti, una moneta unica, dotato l’Unione della capacità di indebitarsi al di là delle risorse proprie per combattere la pandemia e per rilanciare l’economia dei Paesi membri se i padri fondatori non avessero avuto unità di intenti e uno spirito di coesione.

L’Europa è stato nei tempi un cantiere in continua evoluzione. Ci sono stati momenti di inerzia ed altri di intraprendenza, le luci si sono alternate alle ombre, alle nuove conquiste si sono alternate sconfitte. L’Europa è l’Erasmus e il fondo del Mediterraneo, culla e tomba della comune civiltà, l’Europa è l’etica della solidarietà recuperata in questo tempo di pandemia, ma è pure Srebrenica, l’Europa è quella tenera del Vangelo e quella feroce dell’islam fondamentalista. Molti obiettivi rilevanti per la sicurezza e il benessere dei cittadini sono iscritti da tempo nei trattati, ma rimangono inattuati per mancanza di volontà politica dei governi nazionali.

Questa mancanza di volontà politica deriva da due fattori: perché i partiti (o, meglio, di quello che resta di essi!) guardano solo agli interessi dei propri elettori e perché quest’ultimi non hanno ancora colto i valori dello “stare assieme”: salvaguardare la democrazia, sentirsi tutti protagonisti di un destino comune, comprendere che l’Europa non è la negazione della Patria, ma germe che anticipa la solidarietà universale, dove si concilia ciò che ci distingue e ci oppone.

Occorre “educare all’Europa” i cittadini dei nuovi paesi arrivati e i nostri giovani. Occorre proporre loro la storia delle origini dell’integrazione europea e i valori che sono alla base dello spirito europeo: la solidarietà, la conoscenza delle culture diverse dalla propria, la comprensione, la fiducia reciproca.

Proprio il 9 maggio di quest’anno si apriranno i lavori sul futuro dell’Europa. Essi sono nati dalla volontà di alcuni paesi membri e fatti propri dai Presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione. Si è finalmente manifestata la volontà di rilanciare il processo d’integrazione alla luce delle sfide, vecchie e nuove, alle quali l’Europa è confrontata e alle attese dei cittadini. Sappiamo quali sono queste sfide: completare l’unione monetaria ed economica con l’armonizzazione della fiscalità e la lotta comune contro il riciclaggio, affrontare i problemi dell’immigrazione, fare ricorso alle “cooperazioni rafforzate” in materia di politica estera e di difesa previste dai Trattati. Conosciamo le difficolta che incontra una “politica estera comune” e di difesa: è un’illusione finché l’Unione Europea non avrà assunto un assetto federale, ma non appare irrealistico almeno un coordinamento europeo delle operazioni militari per scongiurare i pericoli che la minacciano dalla rinnovata aggressività russa, dai conflitti in medio – oriente e in Africa.

Ma il nodo dei nodi da sciogliere sarà l’abolizione del voto all’unanimità in seno al Consiglio dei Ministri (l’Europa inter-governativa) in modo tale che l’Unione Europea possa difendere i propri interessi e la propria identità sul piano internazionale.

L’Europa e le sue istituzioni sono lontane dai cittadini, ma, in genere, l’opinione pubblica è molto favorevole all’Europa, spesso più dei parlamenti nazionali. È necessario associare i cittadini alle decisioni europee: i partiti euroscettici dovranno smetterla di propinare ai cittadini le loro balzane idee, sostituendole con proposte concrete che siano frutto di attento studio e non solo di condizionamento ideologico, gli elettori sappiano dimostrare di scegliere tra egoismo personale e interesse generale, gli eletti unire le loro forze per trovare soluzioni, superare i rischi, la paura. Scuola e movimenti europeistici abbandonino lo stile spesso cattedratico e accademico, che va lasciato alle università e agli istituti di ricerca e assumano il linguaggio chiaro per spiegare ai cittadini concetti di per se stessi complessi.

E i cristiani? Nella prossima settimana si troveranno uniti in “Together for Europe”, collegati con i mezzi telematici, a Roma, a Parigi, a Bruxelles, a Gaz, a Stoccarda, in Cekia, come nei Paesi Bassi e in tutta Europa per riflettere sul loro ruolo nella costruzione dell’Europa unita e per pregare perché è il Signore che opera camminando nella storia che abitiamo.

Il giorno dopo la dichiarazione del 9 maggio 1950, un giornale francese intitolò:” È nata l’Europa del Vaticano” e uno tedesco:” Risorge l’Europa carolingia”. Niente di più falso. La “triade” cattolica Adenauer, De Gasperi, Schuman collaborò con il belga protestante Jean Rey e con quello olandese Beyen, con l’agnostico Monnet, con i socialisti Spinelli e Spaak, con il non praticante Bech. Tutti sapevano cogliere la distinzione tra Cesare e Dio e i più valorosi spinsero le chiese ad essere soggetti profetici nel mondo e non soggetti politici, a dare il loro contributo perché il cammino di unificazione avvenga non contro altri popoli, ma contro i nazionalismi.

I cristiani oggi sono chiamati “a dare un’anima” all’Europa, come Schuman chiese a Monnet al termine della sua dichiarazione. Saranno essi capaci di essere voce di speranza che proclama “cieli e terre nuove”? Saranno essi capaci di essere testimoni di carità che va ben oltre la filantropia umana? Saranno essi capaci di essere unità non nel segno del potere, ma del servizio?

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