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Sport

IL GIRO IN DANIMARCA

ETTORE PAGANI - 12/05/2012

Questa presenza del nostro Giro nella bella e florida Danimarca ha il sapore e il gusto, nel bene e nel male sempre graditi, di una ventata di tricolore che finisce con il tingersi di rosa. Una cartolina di quelle in bianco e nero un po’ opache, visto il momento tutto meno che felice che attraversa il Bel Paese rispetto a quello fiorente e rassicurante del paese d’arrivo. Una cartolina che ci fa pensare che, tutto sommato, l’idea della spedizione al Nord sia stata felice quasi ad assorbire da altri quel sereno che del nostro cielo (così bello quand’è bello) attualmente è solo un ricordo. E così le distese di verde interminabile, di campi e di fiumi danno ragione a una scelta che poteva sembrare strana anche se, quanto a percorso, le altezze di quarantasette metri poste a premio della montagna possono anche far sorridere.

Quanto al Giro – concretamente e tecnicamente parlando – bisogna dire che un particolare fattore, a un tempo vantaggio e svantaggio, certo lo contraddistingue, privo come è della benché minima certezza in fatto di scelte di candidati al successo finale. Mancano, appunto, i superpoteri tra i quali individuare possibili vincitori già in partenza. Il che, per un verso, guasta moltissimo riducendo la competizione a un livellamento generale che non è mai particolarmente indicato per lo sfogo di passioni. Certo gli manca quel tifo bellicoso e gagliardo di un tempo lontano, che gli amanti del ciclismo riservano – è vero – a questo sport ma soprattutto al singolo: al Bartali piuttosto che al Coppi di turno, al Bobet, piuttosto che all’Anquetil o al Robic, al Kubler piuttosto che al Koblet. Per il tifo occorre il nome di riferimento. È inequivocabile.

D’altro canto il livellamento generale lascia spazio a tutte le incertezze e a tutte le speranze possibili. Insomma se non è tempo di campionissimo che lo sia, almeno, per le rivelazioni, per le ambizioni sopite. Che se d’altronde, il tempo dei campioni deve coincidere con quello delle squalifiche sarà meglio accontentarsi di quel che passa il convento.

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