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Chiesa

UMILE SERVO

EDOARDO ZIN - 05/01/2023

benedetto-xviSe ne è andato l’ultimo giorno dell’anno civile, un giorno significativo che segna per tutti che il tempo scorre lento, ma implacabile per tutti. Il tempo è stato generoso con Benedetto XVI°. E’ entrato nella Casa del Padre come noi tutti mortali: attendendo la Luce nel suo letto, circondato dai suoi familiari che per anni l’hanno assistito e curato, dopo aver ricevuto l’unzione degli infermi. Forse, la sua morte segna la fine della visione sacrale del papato e ci riporta alla dimensione evangelica del servizio. Si è compiuto più di quello che il salmo 90, 10 recita: “La nostra vita arriva a settant’anni/a ottanta se ci sono le forze/ quasi tutti sono fatica e vanità/passano perché noi ce ne andiamo.”

Per quasi dieci anni ha abitato in una residenza che, prima di lui, era stata dimora di claustrali di vari ordini, le quali, a turno, innalzavano quotidianamente la loro opus Dei per il bene della Chiesa intera. Ratzinger ha continuato la loro opera proprio come Mosè che, quando innalzava le sue braccia verso l’alto, il nemico Amalec perdeva, mentre quando, stremato, le abbassava, vinceva il nemico. Accorreva allora in suo aiuto Aronne che gli teneva le braccia alzate. Negli ultimi anni, la missione del vescovo di Roma emerito è stata quella di intercedere presso Dio per i bisogni della Chiesa che   sosteneva nel silenzio e con l’offerta dei mali della vecchiaia.

 Benedetto XVI° aveva capito che l’età avanzata non gli consentiva di capire e di affrontare i gravi problemi della post-modernità che avanzavano con rapidissima evoluzione. Forse questa sua linda   coscienza si era appesantita dagli scandali che erano affiorati all’interno del Vaticano e in diverse chiese locali. Compì allora un grande gesto di umiltà: dimise il pallio da pontefice. Non aveva mai percepito il pontificato come un potere, un privilegio, ma come una responsabilità. Si fermò per fissare su stesso, nel silenzio, la risposta ad una domanda postagli dal padrone della vigna nell’aprile del 2005: “Vuoi tu venire a lavorare nella mia vigna per potare i tralci imputriditi o vecchi?” Quando capì che non ne era all’altezza, in umiltà e con coraggio si dimise E da quel momento i lavoratori della prima ora gli rinfacciarono la fatica, il sole, il peso da loro vissuti nell’arco dell’intera giornata. Venne allora strumentalizzato, mitizzato, incompreso.

Venne catalogato tra i conservatori. Niente di più falso. Non guardava indietro con malinconia, non rimpiangeva il passato, non viveva di rimpianti, di ricordi, di nostalgie. Sapeva abbracciare la Tradizione con la novità dei segni dei tempi. Desiderava l’innovazione voluta dal Concilio, voleva mantenere viva la memoria della Fede, che è la base per vivere il presente proiettato nel futuro. Non praticava “lo spirito del Concilio”, ma voleva che lo si applicasse andando alle fonti per dare l’interpretazione voluta dai Padri. Proclamava: “Il Concilio non è rottura con il passato, ma memoria vissuta “e” nella Tradizione “e” nel rinnovamento.”

A tal proposito mi sia permesso un ricordo personale. Il prof. Joseph Ratzinger fu fin dall’inizio (1962) del Concilio collaboratore dal card. Joseph Frings, arcivescovo di Colonia. Più tardi fu nominato “peritus” del Vaticano II°. Con altri amici vivevo anch’io la stagione del Concilio e partecipavo ai dibattiti che venivano organizzati, più o meno pubblicamente, a Roma. Una sera, Gianni Baget Bozzo ci invitò ad un incontro con il prof. Ratzinger in una stanza attigua a Santa Maria dell’Anima, la chiesa nazionale tedesca. Eravamo una quindicina di persone. Il discorso cadde sulla costituzione della Liturgia. Uno di noi, un tipo teso, esaltato ed esagitato, proponeva che l’eucarestia fosse un’espressione della comunità abilitata a generare i propri modi celebrativi. Il fine teologo, con il suo signorile garbo, capovolse il discorso dell’amico e affermò viceversa che era essenziale che la comunità fosse orientata verso Dio da cui riceve la possibilità stessa del culto. Continuò esponendo il valore della sobrietà della liturgia che non va confusa con la sciatteria, ma che viceversa porta a contemplare la bellezza del Mistero e contemporaneamente conduce alla Verità.

Il dies natalis di Benedetto XVI° ci offre l’occasione per rievocare la sua profonda fede, la sua grandezza teologica, la sua intima fedeltà al Concilio e alla Chiesa.

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