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Società

IL SALARIO FAMILIARE

LIVIO GHIRINGHELLI - 02/06/2012

Nel pieno divampare della questione sociale nell’Ottocento particolare impegno nella definizione del salario familiare profusero i padri gesuiti della Civiltà Cattolica. P. Valentino Steccanella (1829-1897) ritiene che il contratto salariale, considerato in se stesso, non si debba considerare ingiusto: “L’alienazione dell’opera propria in servigio altrui, a patto di un ricambio equivalente, forma il vincolo più forte dell’operare sociale”. Non ne discende però un diritto a partecipare agli utili , né che l’accettazione del contratto da parte del lavoratore lo renda di per sé giusto. Il prezzo deve piuttosto corrispondere al necessario ragguagliato al prezzo delle derrate per una vita ordinaria secondo l’uso del paese e risultare sufficiente per una famiglia ordinaria operaia (composta di marito, moglie e figli in numero da due a quattro). Siamo nel campo della giustizia commutativa, che esige uguaglianza di partite. A definire i minimi valga anche l’assistenza del pubblico potere, essendo sacro dovere del Governo garantire il debole contro i soprusi del più forte.

P. Matteo Liberatore (1810-1892) ribadisce: “Possiamo stabilire che il prezzo naturale del lavoro è quello che, calcolato nell’uomo e nel tenue concorso della donna, occupata quasi tutta nelle cure domestiche, basti al mantenimento di entrambi e di un tre figlioletti, ché tanti in media possono calcolarsi” (ndr, data la mortalità infantile). Segue però il commento: “Gli operai, nella loro gran maggioranza, appena raccolgono del lavoro, quanto basta a non morire” (alti i prezzi dei prodotti, bassi i salari).

Il quarto Congresso dell’Opera, tenuto a Bergamo dal 10 al 14 ottobre 1877, faceva voti: “Il salario degli operai padri-famiglia, unito a quello dei loro figli in età da lavorare, sia per quanto è possibile sufficiente a coprire le spese essenziali della famiglia operaia, dispensando le madri dal sopportarne il carico talora per loro troppo oppressivo”. P. Carlo Maria Curci auspicava la soluzione radicale della questione operaia nell’unificazione di capitale e lavoro.

L’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII sancisce che nel quanto della mercede debba entrare un elemento di giustizia naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti e che il quantitativo non debba essere inferiore al sostentamento dell’operaio, frugale, s’intende e ben costumato. Nel chiarire, a seguito di varie richieste, questo punto dell’Enciclica, il cardinale Zigliara – ma a titolo personale – precisava: il salario detto giusto dal Papa deve essere corrisposto a titolo di giustizia commutativa, non di equità naturale; una retribuzione sufficiente al sostentamento dell’operaio, ma non della sua famiglia, comporta un peccare talora sia contro la carità, sia contro l’equità naturale, ma non contro la giustizia; un salario minore di quello che sarebbe richiesto dal lavoro fornito e dalle necessità di un’onesta sostentazione è peccato contro la giustizia commutativa.

Nella Quadragesimo Anno del 15 maggio 1931 Pio XI asseriva: nella determinazione del giusto salario si tenga presente sia il criterio del sostentamento dell’operaio e della sua famiglia, sia la necessità dell’azienda e del bene comune.

L’augurio era comunque che il contratto di lavoro venisse temperato alquanto con il contratto di società. Cenni al salario familiare sono contenuti anche nella Casti Connubii e nella Divini Redemptoris. Ora non si parla di giustizia commutativa, ma di giustizia sociale, nel quadro di un’economia di mercato non ripudiata, ma ritenuta insufficiente ad assicurare le finalità del benessere di tutti.

Pio XII nel discorso del 13 giugno 1943 a venticinquemila operai convenuti in Vaticano proclama fondamentale un salario che assicuri l’esistenza della famiglia, tale da rendere possibile ai genitori l’adempimento del loro naturale dovere di crescere una prole sanamente nutrita e vestita (un’abitazione degna di persone umane), la possibilità di procurare ai figli una sufficiente istruzione e una convenevole educazione, di prevedere e provvedere per i tempi di strettezze , d’infermità e di vecchiaia. Non discende per Pio XII di necessità che i salariati, appartenenti ad un’impresa, abbiano il diritto di cogestione economica (discorso del 3 giugno 1950 al Congresso Internazionale di Studi sociali).

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