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Chiesa

LA RISCOPERTA DELLA CATTOLICITÀ

GIAMPAOLO COTTINI - 19/10/2012

Il preciso richiamo di Benedetto XVI a ritornare alla fonte dei documenti del Concilio, liberando il campo dai numerosi commenti a volte fuorvianti, echeggiato anche nelle parole del Cardinale Scola che invita i fedeli ambrosiani a ripartire dalla lettura del capitolo della Lumen Gentium dedicato al popolo di Dio, fa comprendere meglio cosa è stato il Vaticano II restituendolo alla sua vera natura di evento, in cui è impossibile separare la straordinarietà dell’incontro tra i vescovi di tutto il mondo dai contenuti espressi nei suoi documenti. La vera natura del Concilio è di essere stato anzitutto la celebrazione dell’unità della Chiesa che, riflettendo su stessa, ha ritrovato i tratti caratteristici della sua identità declinandone nuove prospettive pastorali di presenza nella storia degli uomini. Non c’è dunque un Concilio formale fatto di parole ed un Concilio sostanziale come evento dell’incontro tra tutti i vescovi del mondo, esiste piuttosto la Chiesa che, seguendo il suo Signore e riflettendo sulla propria identità, è stata capace di chinarsi con sguardo amoroso sull’umanità del nostro tempo parlandole in modo vero.

Lo prospettava già Giovanni XXIII nel discorso inaugurale, affermando che compito di questo Concilio non era condannare qualche eresia o affrontare questioni scottanti della morale, ma piuttosto celebrare la fede approfondendone la comprensione, per “aggiornare” le modalità dell’annuncio della Chiesa. A questo evento partecipò anche il giovane teologo Joseph Ratzinger, visto in quegli anni come uno degli studiosi di punta della Chiesa cattolica e quasi antesignano di un’area progressista, che secondo alcuni avrebbe poi rinnegato una volta divenuto Prefetto dell’ex Sant’Uffizio e successivamente Papa. Ma proprio aprendo l’Anno della Fede il Papa ha negato il valore di una lettura dell’evento conciliare in chiave progressista (secondo cui la Chiesa si sarebbe spinta più avanti nella formulazione della fede), oppure di conservazione (che avrebbe spento le spinte innovative). Nella Chiesa non c’è spazio per un progressismo e un conservatorismo, perché il Cristianesimo è radicato nell’avvenimento di Cristo, che è già in sé compiuto ma al tempo stesso si inserisce creativamente nel mutare delle vicende storiche. È quella che Papa Ratzinger definisce la novità nella continuità, ricordando che “il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di fare sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento”.

In tal senso la vera novità del Vaticano II è nell’armonia tra l’universalità della Tradizione cattolica e la ricerca di nuovi linguaggi e forme di evangelizzazione dell’oggi. Né c’è contrapposizione tra l’obbedienza del singolo fedele e il deposito della fede, o tra i singoli vescovi ed il Papa, tanto meno tra laicato e clero. Sarebbe perciò riduttivo anche vedere nella Chiesa una sorta di federazione di gruppi invece che una pluralità di carismi, che realizza una pluriformità nell’unità (come ama dire il nostro arcivescovo), in grado di sviluppare una grande ricchezza per l’intero corpo di Cristo nella storia. In quest’ottica anche il dialogo con le religioni e con l’umanità intera non può muovere da un vago sincretismo o da una semplice disponibilità all’apertura, ma trova la sua origine nella precisa identità cristiana che la Chiesa propone nella storia e che costituisce un volto chiaro con cui paragonarsi. È nell’incontro con tutti gli uomini, per quanto hanno in comune soprattutto come desiderio di infinito e apertura a Dio, che si deve ricercare il vero terreno di confronto; per questo la Chiesa valorizza tutto l’umano e sa dialogare con qualunque cultura.

Il grande tesoro che stiamo vivendo questi giorni è dunque la riscoperta della cattolicità, cioè di una dimensione universale che non può essere delimitata da una posizione particolare o da una prospettiva limitata. Vivere  la fede significa ritrovarla in tutta la sua interezza che non esclude nulla, permettere di partecipare al presente rilanciando verso il futuro. Per questo metodo, il Concilio è stato ed è in senso nobile il luogo di una sintesi di tutta la ricchezza della Chiesa, senza escludere nulla, ma anzi favorendo la sintesi tra vecchio e nuovo, riconciliandoli nel paragone vivo e sincero con la Verità tutta. Alle nostre comunità spetta vivere questa magnanimità dell’accoglienza reciproca dei carismi presenti, nella certezza che Dio è vicino ed è più grande di ogni pur legittima e sensata opinione personale.

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