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Cultura

PÓAR VARES

FERNANDO COVA - 26/10/2012

Oggi la crisi è mondiale, ci possiamo consolare perché un tempo solo Varese era sinonimo di crisi o rovina.

Nel romanzo “Cento anni” di Giuseppe Rovani (1818-1874) si narra l’astensione dei Milanesi nel 1754 dall’uso del tabacco, per sei mesi, per protestare contro lo Stato Maggiore dei Fermieri Generali che, assecondati dai governanti, angariavano i milanesi con ogni forma di sopruso.

Scrive il Rovani: “Fu diretto un sonetto a Sua Eccellenza il Signor Conte Don Beltrame Cristiani, capo della Giunta governativa, sostenitore dei fermieri, e mangiatore anch’esso alla buona tavola comune, sebbene del resto, fosse un egregio ed abile e dotto uomo; le quartine del qual sonetto erano le seguenti:


Il voler arricchir troppo le Imprese
E’ un vero impoverir tutti i mercanti
E’ un voler che Milan fra stenti e pianti
Vada il vitto a cercar fuor del paese.

Manca il denaro e non si guarda a spese
Per arruolar battidori e fanti;
Giuro, se va così, per tutti i santi
Che Milan diverrà come Varese”.

Quest’ultimo verso ci indica che nell’ Ottocento diventare come Varese significava andare in rovina o simile. Incuriosito dal detto, ho consultato vari dizionari ed ho trovato conferma che la succitata frase, con sfumature diverse, é stata correttamente usata dal Rovani.

Il Cherubini, nel suo dizionario riporta: “Varés = Varese, nome proprio di città. Andà de Vares. Decadere in qualunque aspetto. Essere agli sgoccioli. Cascar da pollaio (tosc.). Ridursi al verde o alla macina. Spiantarsi. Scarp andaa de Vares. Scarpe (o sim.) che non ne possono più (tosc.)”.

Il Banfi registra: “Vares = Varese, Andà de Vares, essere agli sgoccioli, andar per le fratte – Pagn o simili de Vares, panni o simili che non ne possono più – Vess de Vares, non ne poter più”.

Severino Pagani, in appendice alla raccolta di proverbi milanesi, riporta i più caratteristici modi di dire dialettali ed annota: “Andà de Vares” = modo di dire per indicare il decadere sotto ogni aspetto. Per quante ricerche abbia fatto, non sono riuscito a trovare perché é tirata in campo la città di Varese. Forse una ragione non c’è, come avviene spesso per altri modi di dire analoghi”.

Comunque un’ipotesi può essere formulata se si consulta l’Adamollo che registra l’inizio della decadenza: “In q. anno 1696 vi fu a Varese carestia…”; lo stesso cronista nel 1723 dedica oltre due pagine, cosa inusuale per lui, alla disastrosa situazione di Varese: “Con mio grande spiacimento devo far memoria che q.to nostro Borgo di Varese da ricco e mercantile che era, si é reso povero e di poco traffico mentre altre volte v’erano in questo borgo le fabbriche di veluti che gli erano di molto utile… Vi erano pure in q. Borgo molte Botteghe e fondachi di buoni panni ed altri drappi, ed ora non vi sono… li Bottegari di Varese erano quasi tutti persone benestanti e comode che oltre al negozio che avevano erano padroni delle Case, Botteghe che abitavano … al pres.te vi sono pochi bottegari che abbiano del proprio mentre la maggior parte pagano pigione della casa che abitano, ed il lor negozio consiste in pochissimo capitale… Gli affitti delle case, e botteghe qui in Varese, da 40 anni a questa parte si sono abassati, e diminuiti a più della metà, …”.

Questi pochi accenni mettono in evidenza la situazione economica veramente disastrosa in cui era caduto il ricco borgo.

Auguriamoci che, stante l’attuale crisi, Varese non torni ad essere usata come sinonimo di crisi o disagio sociale.

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