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Chiesa

DA COSTANTINO A NOI

GIAMPAOLO COTTINI - 14/12/2012

In occasione del tradizionale discorso di Sant’Ambrogio rivolto ogni anno ai milanesi, il Cardinale Scola ha voluto affrontare, aprendo le celebrazioni dell’anniversario dell’Editto di Milano del 313 che segna secondo alcuni l’inizio della liberà dell’uomo moderno, due temi di grande attualità e di decisiva rilevanza per la vita civile: quello della libertà religiosa e quello della laicità dello Stato. Secondo l’arcivescovo, l’Editto di Costantino è il grande evento che libera finalmente la possibilità per tutti i sudditi di professare la fede in cui credono, aprendo la strada al riconoscimento di quel fondamentale diritto, sancito anche dal Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà di coscienza in cui si dice che “l’uomo ha diritto a non essere costretto ad agire contro la sua coscienza e a non essere impedito ad agire in conformità con essa”. Tale diritto è legato alla persona, prima ancora che alle singole manifestazioni delle diverse confessioni religiose, e si radica nel rispetto dell’inviolabilità della coscienza del singolo come luogo in cui avviene quel riconoscimento di Dio su cui nessuna autorità civile e politica potrà mai esercitare il suo potere.

La storia degli ultimi secoli ha conosciuto lo sviluppo dell’idea giuridica per cui, per evitare conflitti religiosi, si è fatta la scelta di proclamare la laicità dello stato come garanzia di neutralità e di imparzialità rispetto alle singole scelte confessionali. Tale laicità è stata giustificata come una sostanziale indifferenza verso ogni confessione religiosa, considerata come del tutto sovrapponibile ed equivalente alle altre, svalutandole però come sostanzialmente irrilevanti e da emarginare nello spazio del privato come se non avessero nulla da dire per la formazione della società civile.

Oggi la questione della libertà religiosa (che da sempre la Chiesa ha messo in cima alla scala dei diritti umani) si presenta in modi altamente drammatici in alcune parti del mondo, mostrando un malessere di civiltà e provocando conflitti che mostrano quanto “imporre o proibire per legge pratiche religiose, nell’ovvia improbabilità di modificare pure le corrispondenti credenze personali, non fa che accrescere quei risentimenti e frustrazioni che si manifestano poi, sulla scena politica, come conflitti”.

Ma la questione centrale nelle nostre civiltà occidentali si pone in termini non di conflitto tra diverse religioni, quanto piuttosto di divisione tra una cultura secolaristica e fenomeno religioso. Misconoscere questo dato culturale fondamentale conduce a concepire la necessaria a-confessionalità dello stato in termini di un’idea di neutralità in cui di fatto lo Stato sostiene una visione del mondo che poggia sull’idea secolare di un mondo senza Dio. Così la laicità, nata per garantire il diritto di ogni religione ad esistere ed essere professata, si trasforma in una concezione del mondo che vuole informare una cultura del “come se Dio non esistesse”, esercitando un potere negativo nei confronti di altre identità culturali, che vengono espulse dall’ambito pubblico e della formazione della mentalità, proprio in quanto si rifanno a principi religiosi. L’esito è che per evitare uno stato teocratico che violi la libertà della coscienza religiosa, si è passati ad uno stato la cui laicità esclude ogni identità religiosa relegandola in un’indifferenza e in una neutralità imposte come assolute, pur essendo questo tipo di laicità solo una delle possibili mondovisioni esistenti. La visione secolarista e immanentista, che governa tutto come se Dio non esistesse o comunque non avesse alcuna rilevanza storica, diviene così fondativa della società ed esclusiva giustificazione di legittima cittadinanza, trasformando la laicità dello stato in una negazione di fatto della libertà religiosa. Infatti, lo Stato nega la libertà religiosa nel momento in cui rende impensabile l’esperienza religiosa come fattore di costruzione del bene comune, intendendo la laicità non come “sospensione critica” del giudizio, ma come neutralizzazione di tutte quelle visioni del mondo che prevedano l’apertura alla trascendenza. Così la legislazione, la vita civile, la modalità stessa delle relazioni tra i cittadini e la difesa dei loro diritti viene dominata da una concezione della vita in cui si espelle programmaticamente dal quotidiano la questione di Dio, e lo stato laico si trasforma nella negazione della genuina libertà religiosa.

La proposta del Cardinale per uscire da questa contraddizione è di recuperare il bene pratico dell’essere insieme, partendo dalla comunicazione seria della propria umanità attraverso la narrazione di come le diverse fedi permettano di affrontare i grandi passaggi dell’esistenza alla luce della loro immagine di Dio. In sostanza, la libertà religiosa consiste nel libero confronto tra scelte differenti di fronte al mistero della vita, superando l’indifferentismo valoriale che (spacciato per laicità) finisce solo per consegnare ogni esperienza religiosa alla totale insignificanza sfociando nel nichilismo di fatto.

La città di Milano è chiamata oggi a fare i conti con un rapido ed inesorabile processo di meticciato culturale di civiltà, che costringe i cristiani all’impegno di ricostruire il tessuto connettivo della società senza rinunciare alla propria identità cristiana, che nella tradizione popolare ambrosiana si è sempre nutrita di una rete di opere di solidarietà e di accoglienza, di educazione e di cultura, così da rendere presente la bellezza e la verità dell’evento di Gesù.

Vita buona e buon governo camminano di pari passo, per questo il discorso si chiude con l’invito all’impegno anche politico perché sia riconosciuta e vissuta una sana laicità che non sia sinonimo di indifferenza o di esasperata negazione della capacità religiosa di trasformare l’umano per il bene di tutti. Convinto dell’inesauribile forza dell’esperienza religiosa autentica, l’arcivescovo ricorda perciò con forza che compito dello Stato è tutelare la libertà senza coartarla, chiedendo alla società civile di sapersi aprire al diverso per valorizzare ogni frammento di verità e alla Chiesa di essere se stessa sia nel raccontare la verità della propria fede sia nel realizzare opere conseguenti. Da qui ricomincia il passaggio di civiltà che l’Editto di Costantino ha favorito dando inizio ad una riconosciuta pratica di libertà religiosa.

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