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Lettera da Roma

COME UN GABBIANO STANCO

PAOLO CREMONESI - 01/03/2013

Come un gabbiano stanco verso l’approdo di un’ultima scogliera, l’immagine del bianco elicottero con a bordo Benedetto XVI che lascia il Vaticano resterà a lungo nel cuore di tutti.

Siamo stati davanti a un fatto epocale: chissà quanti anni o secoli passeranno prima che si ripresenti con quelle caratteristiche di imponenza ma anche sorpresa la vicenda che ha contraddistinto la scelta del Papa.

Ho partecipato ai suoi due ultimi Angelus di febbraio. Un dialogo tra la minuscola figura bianca affacciata dall’appartamento e l’affetto della folla in piazza. Colpivano gli striscioni, tanti e di tutti i tipi: “L’incredibile libertà di un uomo afferrato da Cristo” recitava quello di CL, “Santo Padre, ti vogliamo bene” del cammino Neocatecumenale, “Tu es Petrus” di Militia Christi, ma anche tante frasi di singoli. “Grazie Santità”, “Resta con noi”, “Papa per sempre” e così via. Sventolavano le bandiere di Brasile, Argentina, Polonia, Baviera, Cile ma il silenzio con cui i presenti, pur decine di migliaia, seguivano le parole del Papa era totale.

“L’ho sentito completamente affidato al Signore nella sua decisione libera di uomo libero” racconta Walter, milanese arrivato con la famiglia da Milano. “Quando ci ha benedetti ci siamo commossi per noi era la prima volta che lo vedevamo e sarà anche l’ultima” dicono Flavia e Francesca, sorelle di Rieti. Giorgio ha preso un Freccia Rossa a Milano alle sette del mattino e ripartirà da Roma alle due, solo per esserci: “più penso a questo gesto – dice – più mi domando: chi è quel Tu che rende possibile una simile libertà?”.

La piazza è piena di palloncini colorati e stelle filanti dorate. Il tempo, per uno di quegli scherzi della Provvidenza a cui ci aveva abituato Giovanni Paolo II, regala nel maltempo totale una mezz’ora di tiepido sole. Ci sono migliaia di cellulari puntati verso il balcone per la foto ricordo dell’evento che finirà su Facebook e Twitter. La commozione che si respira nella piazza sembra contagiare anche il Papa: “Vi ringrazio per l’affetto e per la condivisione, specialmente nella preghiera, di questo momento particolare per la mia persona e per la Chiesa” ripete.

A cento metri da San Pietro, nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, cinquecento giovani si sono alternati giorno e notte in una ‘maratona’ eucaristica iniziata venerdì 15 Febbraio e conclusasi alle 20 del 28 Febbraio quando Benedetto XVI ha lasciato il ministero petrino per raggiungere Castel Gandolfo. “Vogliamo sentirci vicino al Papa – dicono – e gustarcelo, ascoltarlo sino all’ultimo secondo, pregare per le sue intenzioni”.

Non amo citarmi, ma il giorno dopo l’annuncio delle dimissioni del Papa, l’11 Febbraio, il titolo fatto per il GR delle 8 era particolarmente calzante: “L’ultima riforma di Benedetto XVI”.

È un fatto che dopo queste due settimane il Papato non sarà più lo stesso. E non solo perché con questo gesto Ratzinger ha permesso l’irrompere del percorso umano nella sacralità della Grazia ma anche perché il mondo contemporaneo e la cifra della sua secolarizzazione potrà accostarsi in maniera destrutturata e più semplice al Mistero della continuità della Chiesa. Una riforma fatta con la persona e non con un atto giuridico.

Intanto Roma, subìto il primo choc, si prepara già a guardare al dopo. A Borgo si affittano a ventimila euro al mese le terrazze con vista sul Cupolone e i dipendenti vaticani si domandano se toccherà loro la gratifica che viene elargita “a ogni morte di Papa” essendo questo un caso inedito per la normativa amministrativa di Città del Vaticano. Inedito ma, potete scommetterci, ancora per poco: la capitale è già pronta a metabolizzare anche un Papa dimissionario.

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