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Cara Varese

SPECIALISTI IN PROGETTI

PIERFAUSTO VEDANI - 19/07/2013

La stazione di Valganna in una foto d’epoca

Nello scorso numero ho ricordato – lo faccio da tempo e insisto perché almeno i lettori giovani non dimentichino – la gestione Milanocentrica della Regione che raramente vede le comunità periferiche alzare la testa. C’è anche la nostra tra le specialiste della genuflessione ai piedi di Palazzo Lombardia, ma non si creda che lo strapotere meneghino sia un’invenzione dell’attuale Centrodestra.

Può essere che Varese sia eccezionale “Land of genoech” (si scrive così in dialetto il termine ginocchio?), ma Palazzo Lombardia e il suo nuovo simbolo del potere, “el furmigun”, come i milanesi chiamano la sede regionale, non erano nemmeno immaginabili quando l’Italia in culla – Anni 60 e 70 dell’800 – programmava nuovi collegamenti ferroviari. Qui al Nord, Milano e la sua provincia mettevano nella cuccia delle realtà delle strade ferrate proprio la nostra città e il suo territorio che legittimamente aspiravano a un rapido collegamento con il Canton Ticino, grande porta dei trasporti verso il Nord europeo; sarebbe rimasta una aspirazione quella di una ferrovia statale meno contorta nei collegamenti di Varese con Milano.

I nostri trisnonni e bisnonni avevano lavorato per evitare il loro isolamento ferroviario progettando addirittura il traforo del Campo dei Fiori per favorire un agile collegamento con la Svizzera: prevalse invece l’egoismo di Milano e Gallarate, città allora di confine della provincia milanese, si ebbe così l’opzione della direttrice Luino!!

Egoisti e sani da legare i milanesi che preferirono una linea ferroviaria statale di sessanta chilometri circa per collegarsi a Varese (volevano privilegiare Legnano, Busto e Gallarate) invece di optare per il percorso Saronno –Tradate, più corto di ben dodici chilometri, che si rivelò un ottimo investimento per i privati FNM.

Tramandato nel tempo l’ isolamento fu poi mal gestito a livello locale: il secondo dopoguerra del ‘900 vide infatti lo sfascio di quanto era stato realizzato per dare agibilità e futuro al territorio. Si può dire che abbiamo emulato i milanesi nel combinare guai, infatti abbiamo ceduto al fascino della gomma e quindi abbiamo pensionato le rotaie, di questi tempi rimpiante in più settori e spazi del territorio.

Oggi però siamo diventati specialisti in progetti, ne caviamo fuori uno al giorno, li accumuliamo e basta: per i motivi che ben conosciamo, hanno tutti la caratteristica della irrealizzabilità.

Intanto Milano con noi è passata al tormentone della sanità. Un risarcimento “ferroviario” ce lo ha dato con il poco fortunato tratto Arcisate-Stabio, con la sanità invece non convince più. Né con la gestione ordinaria né con nuove realizzazioni come il Del Ponte, buon progetto ma urbanisticamente sballato e dagli obiettivi, sanitari e tecnologici, non ancora contabilizzati come vorrebbero la crisi finanziaria nazionale e le cure dimagranti imposte al “Circolo”, avviato di buon passo, in termini di ricettività, alla dimensione di un poliambulatorio.

Il nosocomio è sempre comunque scuola medica e scientifica di livello, anche se per qualche situazione si sarebbe meritato – lo hanno detto e lo diranno le cronache – protagonisti più autorevoli.

E’ facile prevedere che la reazione di Varese non sarà morbida se per il nostro ospedale non ci sarà stata una ferma, credibile e condivisibile gestione dell’emergenza, se saranno arrivati sotto il livello di guardia attenzione rispetto per una comunità che ha sempre privilegiato e difeso la sanità pubblica.

Sembra che sindaci della nostra zona comincino a ipotizzare una mobilitazione là dove in ambito sanitario essi hanno spazi di partecipazione. Come non approvarli e non stimolarli: gli ospedali non sono proprietà dei politici, né dei dirigenti amministrativi, né dei primari o dell’ Università. Gli ospedali sono delle comunità.

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