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Storia

MASSACRATO DALLE BRIGATE NERE, SARÀ BEATO

FRANCO GIANNANTONI - 27/09/2013

Era la sera del 26 febbraio 1945 quando don Giuseppe Rossi, trentun anni, parroco di Castiglione d’Ossola, un piccolo paese della Valle Anzasca sotto il Monte Rosa venne barbaramente massacrato da un manipolo della XXIX Brigata Nera “Ettore Muti” di Ravenna partita all’alba da Pieve Vergonte. La responsabilità del sacerdote, secondo i brigatisti neri, era di aver suonato a distesa le campane della parrocchia di San Gottardo per avvisare i partigiani della brigata Garibaldi “Torino” comandata da “Moro”, presenti nella zona, che la colonna repubblichina stava arrivando dal fondo valle per compiere un rastrellamento. In realtà le campane avevano suonato per segnalare le nove del mattino. La colonna fascista era composta di tre automezzi preceduti da un motociclista. I partigiani si erano piazzati sulle rocce, sopra un’ampia curva del vallone, a trecento metri dal cuore del paese. Quando il primo automezzo imboccò la curva prima del ponte iniziò il fuoco. Ci furono fra i fascisti due morti e quindici feriti.

Il gesto che costò il martirio al giovane sacerdote di Varallo Pombia, luogo dov’era nato il 3 novembre 1912, è da anni al centro dell’istruttoria per il processo di beatificazione proposta il 22 settembre 2002 secondo le regole canoniche da don Severino Cantonetti, novantaquattrenne parroco di Castiglione, successore mai sostituito, malgrado la veneranda età, di don Rossi. L’iter della pratica è in stato avanzato e potrebbe condurre in breve tempo don Rossi all’onore degli altari.

Malgrado la Congregazione delle Cause dei Santi nel 2007 abbia richiesto un’ulteriore indagine su vita, virtù, fama e santità del sacerdote, la richiesta è stata accolta e depositata con validità giuridica nel 2010 dalla Curia di Novara e successivamente consegnata nella Cancelleria della Congregazione. Le condizioni essenziali sembra esistere tutte. Il sacrificio sacerdotale, la dedizione alla causa della libertà, la morte giunta in modo brutale. Don Rossi pagò con la vita, mettendo in pratica il suo motto: “Darò quanto ho, anzi darò tutto me stesso per le vostre anime”. Il sacerdote avrebbe potuto fuggire ma scelse la strada della sua coscienza, quella di restare fra i suoi fedeli difendendone la vita, a prezzo della propria.

Domenica scorsa per il centenario della nascita e per sostenere in modo solenne la figura di questo coraggioso prete di montagna, è salito sino a Castiglione d’Ossola in visita pastorale alla Parrocchia di San Gottardo, il Vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla nella cui giurisdizione sorge il piccolo centro montano. Un gesto che depone per molti aspetti a favore dello sblocco positivo della causa.

Il presule alle 15 ha celebrato una Messa solenne davanti alla popolazione accorsa in massa. Si è trattato di un avvenimento straordinario e unico in questa stretta valle dove la Resistenza garibaldina ebbe modo di rifulgere con atti di grande coraggio. A Castiglione d’Ossola per l’occasione si è dato appuntamento il clero ossolano che in quegli anni lontani diede un apporto decisivo alla causa antifascista, basti riandare alla straordinaria figura di don Sisto Bighiani di Ornavasso, nel dopoguerra parroco di Macugnaga, commissario politico della 82a Brigata Garibaldi “Osella” (unico caso di un sacerdote militante in un gruppo di combattimento) a cui si deve il celebre motto “in ginocchio per pregare, in piedi per lottare”.

A Domodossola giorni fa è stato inaugurato nel giardino parrocchiale un busto bronzeo in onore di don Rossi. Il vecchio parroco nel corso del suo intervento rivolgendosi al Vescovo ha detto: “Mi affido a Lei perché la causa sia definita al più presto possibile al che il vescovo ha, con una punta d’ironia, replicato: “Speriamo il più tardi possibile il che significherebbe per lei la possibilità di restare più a lungo fra noi!”. Una pubblicazione di grande rigore dal titolo “Don Giuseppe Rossi, un prete martire per la sua gente” di Mario Perotti, edito da Interlinea di Novara, è stata donata ad ogni presente.

La tragedia, in quel giorno d’inverno, si consumò a Castiglione per mano dei brigatisti ravennati (alla Liberazione intercettati in fuga nel Gallaratese e passati per le armi a Jerago con Orago) nel vallone di Colombetti, ai margini estremi dell’abitato. Don Rossi fu sorpreso nella sua abitazione in serata, dopo essere stato rilasciato dopo un primo fermo alle 10 del mattino e un duro interrogatorio, mentre stava pregando. Fu trascinato all’esterno, poi ucciso in modo primordiale con una serie di bastonate e pugnalate lungo una personale “via Crucis” durata qualche centinaio di metri. Erano le 21 del 26 febbraio. Non era mancata una rappresaglia con l’incendio di una decina di abitazioni nelle vicine frazioni del paese, il fermo di una cinquantina di persone, brutali interrogatori a tutti i cittadini, in gran parte vecchi, donne e contadini.

Il corpo del sacerdote fu ritrovato il 4 marzo dopo sotto alcune pietre nei pressi di una fonte d’acqua lungo la “via del pane”. L’informazione decisiva era stata data da un fascista di Castiglione tale “Natale” alla giovane Ada Piffero, madre di Claudio Sanzogni, sindaco di Vanzone, che domenica scorsa nel suo discorso di saluto ha esaltato in don Giuseppe Rossi “un martire della Resistenza”.

 

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