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Cara Varese

LINGUAGGIO E CULTURA CIVICA

PIERFAUSTO VEDANI - 08/11/2013

La tempesta economica, politica e sociale scatenata dalla crisi può creare problemi sul piano psicologico anche a coloro che per cultura, esperienza e professionalità di norma in qualsiasi evenienza sanno gestire al meglio le proprie reazioni. Hanno quindi suscitato sorpresa contenuto e stile delle esternazioni del sindaco di Busto e di un noto finanziere di Cazzago Brabbia a seguito di situazioni che probabilmente in altri momenti li avrebbero visti più tranquilli. Non mi aggiungo al coro degli scandalizzati, desidero sottolineare altri aspetti delle vicende.

“Comunisti di m..” l’anatema del sindaco Farioli all’indirizzo di suoi avversari durante una bagarre consiliare. Considerata la dimensione e la pesantezza odierne della nuova era del volgare, inaugurata da un regista progressista anni fa pronunciando a radio RAI la parolaccia attualmente più diffusa, oggi l’insulto fariolesco mi sembra datato, quasi letterario e certamente con precedenti storici. Come non ricordare il generale e visconte Cambronne con il suo “Merde!” in risposta alla richiesta di resa fattagli dagli inglesi a Waterloo. Risposta celebrata perfino da Victor Hugo: le ha dedicato addirittura un capitolo dei “Miserabili”. L’umano prodotto interno lordo ha sempre tenuto banco in quasi tutte le contese verbali di basso stile. Come cronista nelle Preture ricordo benissimo la quantità enorme di processi per l’ingiuria “Faccia di… Cambronne!”.

Quanto è stato urlato a Busto, comunque inaccettabile, è allora un tantino dèmodé e inoltre potrebbe richiedere approfondimenti storici e di archeologia politica: dove sono oggi questi comunisti? Forse il sindaco pensava a mezzo secolo fa, commettendo però un errore perché, la memoria non mi tradisce, i comunisti di allora erano di ferro e, se vogliamo restare in argomento, il mal di pancia lo facevano venire agli altri.

Il finanziere Ponzellini innervosito da un ingorgo stradale ha accusato di pirlaggine alcuni angeli del soccorso quali gli amici della Protezione Civile che tra l’altro all’ingorgo erano estranei.

Ricordato che Farioli e Ponzellini si sono scusati, a questo punto mi sembrano necessari alcuni paletti.

La parolaccia alla radio è stata accolta in ambito progressista come simbolo di libertà d’espressione e così oggi siamo allo tsunami delle volgarità anche nei mass media pubblici. Ma è una volgarità di massa, che si presenta come “patrimonio” anche tra i giovani, maschi e femmine. Non so quando ci saranno le prime forti controtendenze, ma siamo davvero messi male se sulla parolaccia più comune si sono costruiti modi di dire di uso comune, che nell’italiano educato significano arrabbiarsi, essere antipatico, nemmeno per sogno, che cosa vuoi, essere cretino o come tale comportarsi e via di seguito.

A complicare la situazione ci si sono messi pure i grandi magistrati: il “vaffa”, abituale nel Centro-Sud, sarebbe come se si dicesse a uno noioso che ci dà fastidio, di scostarsi, di andarsene lontano da noi. In compenso il lombardissimo pirla, pure da evitare e tuttavia quasi sempre affettuoso o amichevole, per la Cassazione è ingiuria. E può esserlo indubbiamente, dipende dal tono e dal perché uno se lo becca. Però dovrebbe essere così anche per il “vaffa”.

Non chiedo una Cassazione del Nord, ma almeno che la scuola, cioè docenti, studenti e famiglie, in qualche ordine del giorno accenni al recupero dell’educazione al linguaggio e alla cultura civica. Non è una mia idea, gli eredi di Cambronne lo fanno da tempo.

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