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Cultura

MARILYN O DELL’ETERNA BELLEZZA

MANIGLIO BOTTI - 01/12/2011

 

Se fosse viva oggi avrebbe ottantacinque anni. I giornali parlerebbero poco di lei, o non ne parlerebbero affatto. Le sue vicende, anche se con un passato di gloria e di successo, forse, sarebbero indirizzate verso un oscuro anonimato, quale potrebbe essere quello riservato a un’anziana signora.

Invece le sue foto, le sue storie continuano a essere pubblicate. I suoi film continuano a essere visti e commentati. Altri se ne girano, dedicati a lei, e fanno sempre cassetta. È Marilyn Monroe, l’ineguagliabile Marilyn, nonostante le tante imitazioni. Una sua immagine, per altro non molto nota, compariva solitaria, la scorsa settimana, nella vetrina del corniciaio di Masnago, in via Amendola: lei ritratta sdraiata su un divano, abbigliamento tutto sommato castigato, eppure sexy, il bellissimo malinconico sorriso. Cliccando il suo nome in una rapida escursione nella rete appaiono centosessanta milioni di segnalazioni; Brigitte Bardot, la diva che negli anni Cinquanta e agli inizi dei Sessanta, più giovane di otto anni, faceva pendant con Marilyn in Europa – poi si ritirò nel sud della Francia, dove vive tuttora – ne conta poco meno di tredici milioni.

Marilyn Monroe – al secolo Norma Jean Baker – fu trovata morta il mattino presto di domenica 5 agosto 1962 nella sua casa di Brentwood, vicino a Los Angeles. Era seminuda e coricata nel letto, la mano protesa verso la cornetta del telefono staccata e penzolante. Sul comodino alcuni flaconi di barbiturici vuoti.

La causa del decesso venne rubricata come probabile suicidio, e tale è sempre rimasta indicata, sebbene nell’arco di mezzo secolo siano state numerose le indagini, le controindagini, le congetture, fino a ipotizzare addirittura l’omicidio. Per esempio: a chi stava telefonando Marilyn prima di chiudere gli occhi per sempre? Era nota, tra l’altro, la sua amicizia con il clan della famiglia Kennedy e soprattutto con Bob, ministro della giustizia. Allora John era il presidente. Tutti ricordavano l’apparizione di Marilyn, pochi mesi prima che venisse trovata morta, in occasione della festa di compleanno di John. Fasciata in un abito d’argento Marilyn cantò con la sua vocina aggraziata la famosa “Happy birthday Mr President”. John Fitzgerald Kennedy, sorpreso e affascinato, secondo alcuni testimoni, disse: “Beh, adesso potrei anche dimettermi”.

Stando alla filmografia, al momento del decesso, si annoverano una trentina di film con la presenza di Marilyn Monroe. L’ultimo, “Something’s got to give”, della Century Fox, è rimasto incompiuto per la morte dell’attrice. Non si può tuttavia fare a meno di citare, almeno, i tre che avevano contribuito maggiormente a decretarne il successo: “Niagara”, del 1953, in cui Marilyn interpreta la parte di una moglie infedele alla fine uccisa dal marito (Joseph Cotten); “Quando la moglie è in vacanza” (“The seven year itch”), del 1955, quello in cui è memorabile l’immagine di Marilyn gioiosa mentre si trattiene la veste gonfiata da un soffio d’aria calda che fuoriesce da una griglia, e soprattutto “A qualcuno piace caldo” (“Some like it hot”), di Billy Wilder, del 1959, in cui Marilyn è Sugar Kane, cantante in una banda di ragazze innamorata di un-una collega, Tony Curtis, travestitosi da donna per sfuggire alla caccia di un gruppo di gangster.

Ma Marilyn – che quando morì aveva trentasei anni – non era soltanto l’attrice più famosa – e bella – di Hollywood per la sua filmografia. Anche la vita privata, la storia, le amicizie – come s’è visto – avevano contribuito a disegnarne un ruolo importante nello star system dell’epoca. In particolare gli ultimi suoi due matrimoni (si sposò tre volte), quello con il campione di baseball Joe Di Maggio, amatissimo negli Usa, e quello con il commediografo Arthur Miller, l’intellettuale ombroso e celebrato, autore di “Morte di un commesso viaggiatore”, del 1949.

Marilyn era bella, famosa, inquieta, alla perenne ricerca di sé e dell’amore, mai disgiunto dal sesso. In lotta – forse – anche con una vecchiaia i cui segni ormai cominciavano a comparire sul volto. Scrisse un cronista, poche ore dopo quella mattina d’agosto di quasi cinquant’anni fa, che il suo corpo fu prelevato dagli agenti del coroner e “depositato” nell’angolo di uno stanzone fra stracci e scope, come se la sorte avesse voluto giocarle un’ultima beffa.

Non è stato così. Il corpo, certo, ritornò alla polvere. Non l’immagine di Marilyn, ora radiosa ora malinconica e sfuggente. Bella per l’eternità.

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