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Storia

“TAINO” ERA PROPRIO LUI

FRANCO GIANNANTONI - 13/12/2013

“Il Miliziano che muore”, la celebre fotografia scattata da Robert Capa (pseudonimo di Endre Erno Friedmann) sul fronte della guerra di Spagna del 1936-1939 fra franchisti, fascisti, nazisti da una parte e Brigate Internazionali e repubblicani dall’altra, è vera. Non fu una posa di un preteso regista. Tanto è vera che durante il regime di Franco non fu fatta circolare in quanto ritenuta “strumento di propaganda sovversiva” e nascosta agli occhi di chi avrebbe potuto giudicare l’aggressione golpista alla Libera repubblica come un atto criminale quale in realtà era stato.

Nel centenario della nascita il 22 ottobre 1913 del grande fotografo ungherese, fondatore dell’Agenzia Magnum e morto il 25 maggio 1954 in Indocina, la storica immagine con altre cento ottanta si può ammirare sino al 19 gennaio a Villa Manin di Passariano, Udine, in una straordinaria rassegna curata da Mario Minuz.

Ma chi volesse riaprire la polemica che per anni ha accompagnato quello scatto ha la strada definitivamente sbarrata. Robert Capa stesso lo afferma in una straordinaria intervista del 1947, ritrovata da amici spagnoli, che dalla sera del 22 ottobre scorso, per mezzo delle moderne tecnologie, si può ascoltare.

La storia andò così. Robert Capa, nascosto in una trincea, quando la colonna dei miliziani proveniente da Alcoy fronteggiò quella franchista del generale Varela il 5 settembre del ’36, al quarto assalto alzò il braccio dal buco in cui era sistemato e scattò alla cieca. Fu il momento in cui Federico Borrel Garcia detto “Taino” di ventiquattro anni della “columna anarquica” di Alcoy (Alicante) cadde ucciso sulla collina di Las Malaguenas a Cerro Muriano vicino a Cordoba.

Oggi il rischio che questa storia non interessi che a pochissimi è alto. Nelle scuole raramente la guerra civile di Spagna è citata. Eppure se una guerra va ricordata è propria quella quando, all’attacco fascista dei generali Franco e Mola per abbattere la democrazia, al fianco dei repubblicani accorsero da tutto il mondo uomini di ogni età, professione, cultura, censo per opporre le armi all’affronto, da André Malraux a George Orwell, a Ernst Hemingway, a John Dos Passos, a Pablo Neruda a George Bernanos, a Paul Eluard a molti altri.

Dunque il “Taino” cadde per difendere una batteria di “artiglierias” comandata dall’alfiere Melquiades Valiente e Enrique Vario Nicomedes. La testimonianza di Capa risentita dalla sua stessa voce emoziona.

Le tracce in questa direzione (il miliziano morto in battaglia e non “costruito” per lo spettacolo) si avevano comunque già da fonti sicure e lontane. Francisco Moreno Gomes in “La Guerra Civil en Cordoba” (1936-1939) era stato chiaro. “Taino” era stato un “valeroso joven libertario”.

Mario Dondero, grande fotografo italiano, nel 2006 per la rivista “Diario” di Enrico Deaglio (purtroppo chiusa da anni) condusse un’indagine sul territorio giungendo alle stesse conclusioni. Non fu un vezzo ma il desiderio di un riscontro. Andò a Cerro Muriano, scoprì il teatro della battaglia, scattò decine di rullini. La battaglia cruentissima, come lo furono tutte quelle combattute in quella guerra di libertà, da Madrid, a Teruel, a Boadilla del Monte, a Majahonda, a Guadalajara, a Caspe, sull’Ebro, sulla Sierra di Guadarrama, si era svolta attorno ad una miniera abbandonata di Alcoy. Dondero già convinto della correttezza della famosa foto, ebbe riscontri sulla propaganda franchista e sulle varie illazioni che tendevano a mettere in dubbio la figura di Capa.

Dondero non indagò tanto sui negativi, peraltro difficili da reperire presso la Magnum, ma sull’identità dei personaggi e dei luoghi e su quanto aveva scritto Franz Borkenau nel suo libro “The Spanish Cockpit”. L’autore, sociologo austriaco, antifascista e testimone diretto di quel 5 settembre del ’36, viaggiò in quelle drammatiche ore in auto con due giornalisti francesi di “Vu” (uno era certamente Capa, travisato) con in quali si ritrovò di fatto circondato dai “regulares” cioè i soldati marocchini del generale Varela. Quello che Borkenau ma anche altri giornalisti e reporter stranieri videro, fra cui il famoso fotografo tedesco Hans Namuth ben più noto di Capa, fu uno spettacolo sorprendente. Gruppi di miliziani allo sbando e in fuga “salvati” dall’arrivo della colonna di Alcoy, città di storiche tradizioni rivoluzionarie. Fu in quella battaglia che il miliziano ritratto da Capa morì. Lo confermò Ricard Bano, uno storico locale. Bano, quando seppe che la fotografia era stata scattata a Cerro Muriano, si ricordò che in quel luogo avevano combattuto i suoi concittadini. Mostrò allora la fotografia a Mario Brotons Jorda, l’ultimo sopravvissuto della gloriosa “columna”, allora quattordicenne. Questi non riconobbe il miliziano “Taino”, suo amico, ma affermò che era certamente uno dei suoi compagni per via delle giberne che un artigiano di Alcoy produceva per i locali miliziani. La fotografia fu mostrata ai familiari degli ex combattenti e anche ai familiari di Federico Borrel Garcia. La risposta non si fece attendere. Era lui, il loro “Taino”. Faceva l’operaio tessile e aveva una ragazza, una “novia”, con cui si sarebbe dovuto sposare alla fine della guerra.

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