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Lettera da Roma

COME ALL’EPOCA DI GIOVENALE

PAOLO CREMONESI - 10/12/2011

 

Nella capitale veniamo da due giorni di targhe alterne e da una domenica di stop alle auto private.

Pensate che sia cambiato qualcosa? Il traffico romano è una dimensione spazio-temporale a cui non ci si abitua mai.

Un giorno prendi la tal strada per raggiungere il posto X? Impieghi un ‘tot’. La settimana dopo compi lo stesso tragitto? Ci vuole il doppio. Vuoi accompagnare i figli al tal oratorio per l’incontro programmato da tempo? Quel giorno il quartiere non si riesce a raggiungere. Programmi la gita ma ti dimentichi di consultare il giornale? Hai buone possibilità di passare la domenica a casa.

Il traffico di Roma è imprevedibile: ci sono troppe variabili impazzite. Una volta è la visita di un capo di Stato, un’altra la maratona cittadina (ormai ce ne sono tre), una beatificazione in San Pietro o il summit del G-8. Per non parlare del fatto che chiunque vuole protestare, viene a farlo a Roma: dai produttori tirolesi ai metalmeccanici salentini passando per i pastori sardi.

A Roma i mezzi pubblici funzionano male ma in compenso la città è piena di scooter che saettano a destra e a sinistra senza controllo. I pedoni ignorano l’esistenza dei passaggi a loro dedicati e scendono all’improvviso dal marciapiede come in un video gioco.

L’ingorgo, il traffico, diventano così una dimensione, un ‘habitus’ che sei costretto ogni mattina a indossare. Come lo racconta Fellini in ‘Roma’ o canta Venditti nel ‘Grande Raccordo Anulare’, chiede di organizzare il tuo tempo, anche due, tre ore, ascoltando la radio, portandoti il lavoro da casa, scaricando il cellulare in telefonate.

La capitale è la città con il maggior numero di auto per abitante: 703 a 1000 rispetto a una media italiana di 500. Ed è anche quella dove si registra il maggior numero di patologie da traffico: 26 per cento di gastriti nervose, 22 di ipertensioni. Nonché di morti per incidenti: una ogni tre giorni.

La rete urbana è più o meno ancora quella rinascimentale. Le amministrazioni si sono succedute e come canterebbe De André ognuna “si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignita'”. Intorno alla città in un secolo sono state realizzate solo tre grandi opere viarie: il cosidetto Muro Torto, la tangenziale Est, la Galleria Giovanni XXIII. Gli ingegneri urbani del Campidoglio forse hanno studiato su Marte. Ora tutti si fa il tifo per la metropolitana C che dovrebbe passare sotto alcuni punti nevralgici e snellire l’ammasso di lamiere sovrastante.

Nel frattempo ci si adegua. Si esce la mattina non sapendo a cosa si andrà incontro mentre la bonomia romana cede sempre più il passo ad una cupa rassegnazione: conosco persone che si svegliano alle cinque per essere in ufficio alle otto (magari a pochi chilometri da casa). Faccio esperienza delle automobili che cominciano a seguirti appena esci di casa con le chiavi in mano: all’inizio pensavo fossero rapinatori, ora ho capito che è solo qualcuno che vuole il tuo posto macchina.

Ci si ripete che Roma è sempre stata così. Giovenale scriveva: “In quale appartamento d’affitto é mai possibile dormire? Il passaggio dei carri nelle giravolte delle stradette, le imprecazioni dei mulattieri che non riescono a procedere, toglierebbe il sonno anche all’Imperatore”.

Siamo nel primo secolo dopo Cristo e verrebbe da dire che non è cambiato molto. Ma è una ben magra consolazione.

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