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Politica

LE QUATTRO CRISI DELL’ITALIA UNITA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 28/03/2014

Nella sua breve storia unitaria, l’Italia ha conosciuto alcune gravi crisi che corrispondono ad altrettanti importanti periodi che segnano i suoi cambiamenti epocali.

Nel 1918-1924 le conseguenze devastanti della “grande guerra” con l’esaurimento dei governi liberali e la guerra civile del “biennio rosso” tra fascisti e antifascisti.

Nel 1943-1945 il crollo del regime fascista e una più grande e devastante guerra civile tra fascisti e democratici.

Nel 1992-1994 il cedimento del sistema politico dei partiti democratici causato dalla fine del confronto internazionale tra le grandi potenze.

Infine, nel 1990-1994 con la fine della “guerra fredda” e la caduta del comunismo sovietico si realizza la globalizzazione dell’economia, la crisi della finanza e la ricerca infruttuosa di un nuovo modello di sviluppo.

In tutti i quattro casi l’Italia arriva a degli appuntamenti epocali con un sistema politico inceppato e incapace di risolvere i problemi. I tentativi delle classi dirigenti di dar corso ad aggiustamenti si rivelano tardivi ed inefficaci.

In effetti l’evoluzione italiana ha visto succedersi quattro tipi di Stato: il liberale, il fascista, il democratico – repubblicano e, da ultimo, un regime che ha pensato di poter scalzare i vecchi sistemi di potere.

Tutti questi quattro tipi di Stato sono andati incontro a disfatte che evidenziano, al di là delle differenze, un carattere comune: un esercizio del potere legato al monopolio del ceto politico e della classe dirigente che non ha lasciato spazio ad alternative popolari. Le crisi di regime conseguenti hanno portato alla formazione di modelli di Stato caratterizzati da regimi bloccati, aperti unicamente alla “assimilazione trasformistica”.

Questa logica ha avuto termine agli inizi degli anni novanta con l’avvio del meccanismo dell’alternanza di governo tra apparati e schieramenti opposti, accompagnato però dalla contrapposizione di opposte fazioni e dalla reciproca contestazione della legittimità a governare il Paese.

Intorno alle varie incarnazioni del potere si sono annidate le clientele alla ricerca di privilegi, favori e protezioni, è cresciuta la corruzione con la marcia delle organizzazioni criminali, si sono affermati lo spirito di sudditanza e la mentalità conformista, in un contesto segnato dalla frattura territoriale tra Nord e Sud, dalla fragilità dello spirito pubblico e dalla diffusa mancanza del senso di legalità.

La insufficienza di un comune patriottismo costituzionale ha contrassegnato le grandi svolte e i mutamenti della nostra storia.

Lo Stato Risorgimentale nacque con ipotesi diverse e contrastanti; anche lo Stato Repubblicano è sorto tra acuti dissensi e accuse reciproche; la dialettica della “disunità” si è riproposta pure nell’ultimo decennio del Novecento con l’ascesa del localismo della Lega e, più recentemente, del movimento populista di Grillo.

Eppure in un secolo e mezzo di storia patria non sono mancati “momenti alti” in cui l’Italia seppe trovare, sotto la guida di leader illuminati, le risorse necessarie per formare la crisi.

Accadde con Zanardelli e Giolitti che seppero far uscire l’Italia dalla depressione di fine Ottocento in cui era stata trascinata dalla monarchia e dall’apparato militare. Il senso di responsabilità nazionale indusse i socialisti, come Turati, ad appoggiare lo sforzo bellico dopo la disfatta di Caporetto; i popolari di Luigi Sturzo allargarono le basi della democrazia italiana, riconciliando il mondo cattolico con quello laico.

La rifondazione dello Stato, dopo la grave frattura del 1940-1945, che portò alla Repubblica e alla Costituzione, è stata possibile per la presenza di politici di alta statura come Alcide De Gasperi che si rivelò come uno dei nostri più grandi statisti.

È da questa storia che dobbiamo partire, non ne abbiamo un’altra. Ce la faremo? Forse se rinunciamo alla protesta, alla rabbia, al conformismo e riscopriamo il senso di responsabilità.

Serve anche la formazione politica, l’educazione civica, la memoria storica e una alleanza politica sufficientemente ampia e coesa, in una in cui la spinta leaderistica comincia a mostrare i suoi limiti.

L’Italia, dopo l’unificazione, è stata rifondata almeno altre tre volte e le varie rifondazioni, costituiscono “nuovi inizi” in antitesi ai precedenti.

Alla prima fondazione che si realizzò a conclusione del Risorgimento e diede vita, nel 1861, allo Stato monarchico – liberale seguì, nel 1922-1925, la formazione dello Stato fascista a conclusione della lacerante crisi del primo dopoguerra e, dopo vent’anni di dittatura e di guerra, è nato lo Stato democratico – repubblicano, ora rimesso in discussione.

L’unità d’Italia è stata segnata da ricorrenti grandi “disunità” che tuttavia non hanno del tutto compromesso l’unità nazionale e la volontà di vivere insieme. Nei primi anni novanta, con la fine del sistema dei partiti democratici, sono emersi nel dibattito pubblico molti argomenti che mettono in discussione lo stesso significato dello Stato unitario, rivelando la fragilità delle nostre radici comuni.

Tali “disunità” sono da ricercarsi nelle differenze territoriali, nelle modalità di sviluppo dei rapporti sociali, nella debolezza dello spirito morale e civile degli italiani. Ritornare al passato, alle “piccole patrie”, agli egoismi regionali in un mondo globalizzato e interconnesso, è un’ illusione autolesionista.

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