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Storia

LA COMPAGNA DELLA PRINCIPESSA RIBELLE

FRANCO GIANNANTONI - 28/03/2014

Giuliana Benzoni

Giuliana Benzoni, un nome che oggi non dice niente a nessuno. Una perfetta sconosciuta.

Eppure questa bella signora, fiorentina, famiglia patrizia e letterata, nipote di Ferdinando Martini, ministro delle Colonie del governo Salandra, stretta conoscente di Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti, Umberto Zanotti-Bianco, Giovanni Amendola, Gaetano Salvemini, ad un certo momento della sua vita, quando il fascismo era entrato nella parabola declinante dopo le disastrose campagne di Grecia e di Albania, fu la preziosa “consigliera” di Maria José, principessa ribelle, in un tentativo politico coraggioso quanto sfortunato di impedire che il regime di Mussolini proseguisse nel suo nefasto cammino.

Una donna straordinaria scomparsa nel 1982 all’età di 87 anni, “protagonista silenziosa e poco incline alle rievocazioni del suo passato”. La “voluta segretezza” ne aveva fatto un mito. Era apparsa irraggiungibile, criptica, capace di penetrare in luoghi vietati e di esplorare tragitti impraticabili pur di conquistare gli obiettivi che si era posti.

Infatti questa signora “dai magnanimi lombi”, baciata dall’eleganza e dalla classe, dalla metà del 1942 fino al 25 luglio 1943, giorno della caduta del fascismo, ebbe un ruolo primario nello studio della “congiura” anti-mussoliniana in virtù della solida amicizia con la principessa del Piemonte, moglie del Luogotenente Umberto di Savoia, desiderosa di agire come suggerito dall’amica ma incerta su chi affidare la propria fiducia e l’ardito progetto “rivoluzionario”.

Giuliana Benzoni di fronte alle incertezze di Maria José non si ritrasse, fornendo all’augusta amica i consiglieri adeguati all’impresa: Pintor, Bonomi, Antoni, Gonella, uomini di estrazione politico-culturale diversa ma disponibili a offrire il loro contributo alla causa.

Erano i mesi in cui il Quirinale era diventato la sede abituale di salotti femminili da cui prendeva forma in modo sempre più nitido il complotto. Nella marcia perigliosa degli ostacoli che si ponevano lungo l’itinerario anti-mussoliniano che aveva visto all’opera politici, antifascisti, fascisti barcollanti, militari di alto bordo e civili, l’idea geniale della Benzoni fu ad un certo punto di dare ingresso al campo dell’intero antifascismo, anche quello azionista contrario alla monarchia. La strada era chiara e occorreva il concorso di tutti: salvare la traballante e compromessa monarchia e cacciare il dittatore.

In questo modo il salotto si era ulteriormente arricchito con l’innesto di uomini della politica convinti che, solo attraverso quel patronato monarchico, si potesse cogliere l’agognato traguardo. Giuliana Benzoni aveva infatti dato un’ulteriore spinta all’azione: De Gasperi, la Banca Commerciale Italiana con il suo leader Raffaele Mattioli, i cauti socialisti romani, i letterati frondisti, anche prelati della Santa Sede con in testa l’emergente lombardo Montini.

Il programma prevedeva di convincere il fragile re Vittorio Emanuele III a separarsi dal fascismo con il loro aiuto sotto la parola d’ordine della Benzoni, fatta propria dalla principessa, “di ingabbiarlo” “anche se testardo, musone e legalitario”.

Maria José fu “indottrinata” da Carlo Antoni, filosofo crociano, sugli aspetti “legali” dell’operazione. Ma purtroppo la principessa non riuscì mai, malgrado avesse tentato, a incontrare, faccia a faccia, il re, “riluttante, autosufficiente, malfidato”. Fu mandato avanti anche Acquarone, ministro della Real Casa, ma con scarso successo.

Batteva l’anno 1942. Maria José nel frattempo vide Montini, a Milano incontrò lo scrittore comunista Elio Vittorini e il critico azionista Francesco Flora. Giuliana Benzoni fece da tramite per un colloquio fra la principessa e Giaime Pintor, animo squisito e mente lucidissima che sarebbe poi caduto da eroe in una “missione” oltre le linee.

Si pensò sulle prime a Badoglio come capo politico. La “consigliera” segnalò il suo nome a Maria José che fu d’accorso per la “totale apoliticità” malgrado i feroci precedenti nell’aggressione all’Etiopia.

Si era giunti all’inizio del ’43. Occorreva stringere i tempi. Giuliana Benzoni suggerì a Maria José di “presentare l’antifascismo” al re. Scartato frattanto Badoglio, fu proposto Ivanoe Bonomi. Ci fu l’appoggio di Antonio Giolitti, del filosofo marxista Ludovico Geymonat, del rettore di Padova Concetto Marchesi, comunista.

Sembrava fatta ma non se ne fece niente. L’ “operazione delle dame” era malinconicamente fallita. Il re aveva voluto decidere in solitudine, come aveva fatto sempre, puntando su un governo di tecnici militari con in testa il malfamato Badoglio, preferendo coprire formalmente la defenestrazione di Mussolini con la fronda fascista. Un’altra brutta scivolata come con la “marcia su Roma” e il mancato stato d’assedio.

Maria José che aveva consentito e spinto gli incontri con gli antifascisti, venne in qualche modo punita e “messa agli arresti” a Sant’Anna di Valdieri, in Piemonte, un luogo per le insopportabile e dal quale non era possibile agire pur se non mancarono, dopo l’8 settembre, contatti in montagna con la Resistenza armata.

Giuliana Benzoni, “bruciata” dal tramonto del suo sogno, non mollò. Ebbe un ruolo nella Resistenza romana dove si batté clandestina. Nel 1946 fece un passo indietro. Il suo mondo era tramontato, il tempo dei riti liberali era finito. Non per questo si sottrasse al sottile piacere del gioco politico. Quando si affacciò nel Paese il progetto di uno storico incontro fra cattolici e laici nel centro-sinistra, lei, la piacente, garbata, ormai matura signora, non mancò di esserci, ascoltando e suggerendo come aveva del resto fatto sempre.

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