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Editoriale

LA DERIVA

FRANCO GIANNANTONI - 04/04/2014

Ministri, alti dirigenti, capitani d’azienda, al minimo passo falso salutano l’amabile compagnia e si dimettono. Non ci pensano su due volte. Definisce ancor meglio la rassegna della nostra decadenza il capitolo sul razzismo e la tolleranza che spazza via ogni dubbio. Omosessuali, transessuali e lesbiche a Londra sono in lista, sì, ma quella dei cinquanta top manager della City che ogni anno celebra il loro successo assieme alla cultura liberale della città più multietnica del mondo. Due esempi del gap che divide l’Italia dall’Inghilterra.

Ma ce ne sono tanti altri. Riprendiamo il razzismo. A Londra non c’è posto per il razzismo e esiste addirittura una speciale polizia che interviene in caso di minacce o insulti a sfondo razziale. Dicevo del resto: il luogo o il costume dove gli inglesi imparano il loro civismo è nella sacrosanta istituzione della coda, solo per i furbi una banalità. Quella che noi cerchiamo di saltare, per loro è scuola di uguaglianza. Lo constato ogni giorno di persona con la mia “Bianchi”, una delle ultime acquistate con il Mario Chiodetti dal “Gusto” Zanzi, all’incrocio fra via Verdi e via Staurenghi. Non si aspetta il verde e al rosso il cittadino, appena può, donna o uomo, giovane o vecchio, a piedi, in bici, in moto, in auto, si fionda dentro confermando come ogni regola possa essere violata basta che non ti veda nessuno. Se non ti vedono, bari. Così con le tasse. Così con le attese davanti a un ufficio pubblico.

Il libro di Caterina Soffici “Italia yes, Italia no. Che cosa capisci del nostro Paese quando vai a vivere a Londra” (Feltrinelli) andrebbe adottato in ogni scuola del Paese. Sarebbe l’abbecedario obbligato del buon costume, il libro nel quale ogni studente scoprirebbe il baratro civico in cui si muove spesso senza saperlo assieme alla sua famiglia da cui purtroppo dipende. Il pozzo nero della mancata educazione. La voragine dell’ arroganza.

“La coda – ironizza la Soffici – rende l’uomo libero” mentre dalle nostre parti la si scavalca con il privilegio. “Sei nella coda se ti unisci dalla fine e ci rimani fino al tornello”, stabilisce la regola inglese. Da noi al contrario sei un semplice fesso. La società civile a quel punto è macerie.

Il libro ti prende alla gola e ti fa apparire un poveraccio. Ti fa capire, dati alla mano, che al di là di ogni crisi economica, l’Italia sia al centro di un’autentica deriva societaria. Non ci sono più regole che tengano. I nuovi ricchi, evasori, mantenuti, ladri, politici da strapazzo, utilizzatori di droghe, segnano il tempo.

Giorni fa in un elegante ristorante di Varese alla gentile cameriera di Gemonio (dunque bosina) a cui segnalavo la maleducazione di alcune signore del tavolo accanto che rimpinzandosi di “maccheroncini alla sorrentina” urlavano come ossesse probabilmente per sanare le loro turbolenze sessuali, candidamente e simpaticamente al posto di farle zittire mi ha risposto: “Signore, tri don fan il merca’ de Saron” (tre donne formano il mercato di Saronno) lasciando che le sconsiderate continuassero nel loro delirio confondendo un luogo comunque pubblico con la loro abitazione.

Ma perché questo declino che ci ha messo all’ultimo posto dell’Europa?

La Soffici non risponde se non affermando che vivendo a Londra vive in un Paese “normale” con virtù e difetti ma con la sensazione di essere in un luogo progredito. Un paradosso se si pensa alla durezza del carattere inglese al cospetto della celebrata dolcezza mediterranea. Ma tant’è.

Nel libro si tocca con mano la rassegna dei grandi valori. A Londra e dintorni regna l’etica pubblica. Un donnaiolo, evasore fiscale condannato, come c’è davvero da noi, troverebbe il modo di attraversare la Manica di notte e scomparire per sempre agli occhi dei suoi conterranei tanta è la vergogna. Da noi per milioni di cittadini, al loro pari, ritengo, per degrado morale e civile, appare un modello da seguire.

Etica pubblica che, per fare un altro esempio, si riflette nel lavoro della polizia. A Londra il poliziotto prima che alla legge risponde all’interesse del cittadino. Da noi la divisa può essere modello di intimidazione e spesso di vessazione. La legge viene dopo, molto dopo, con le dovute eccezioni.

Ma il male più grosso è la faziosità. Gli inglesi, conservatori o liberali, sono prima di tutto inglesi. Da noi no. Malgrado il tempo sia trascorso cancellando la vita degli stessi partiti, regna tuttora la divisione manichea di fascisti e comunisti mentre l’idea di un’Europa che potrebbe risolvere tutti i problemi, un vero Stato soprannazionale, quello sognato da Arturo Spinelli e Ernesto Rossi, sembra lontana, un nemico da abbattere.

Inutile ricordare fra i peccati mortali il battutissimo percorso della “raccomandazione”. In Inghilterra la selezione è per merito. Severa, implacabile. Da noi non è così: qui se sei figlio di un primario medico puoi ambire, senza troppi scrupoli, a succedergli in cattedra. Nessuno si turba o, chi si turba, è un disturbatore della quiete sanitaria.

La cartina di tornasole della situazione la si ritrova nella imponente fuga dall’Italia di migliaia di giovani. Non vanno via solo i “cervelli” ma anche i parrucchieri, i pizzaioli, i muratori, i camerieri, riproponendo le emigrazioni dell’Ottocento. Chiudo stremato con le tasse. Quando il ministro Padoa Schioppa affermò, buonanima, che “pagare le tasse è una cosa bella”, ci fu il terremoto. Il poveretto venne inchiodato come un reprobo o preso per matto. In Inghilterra, fa sapere la bravissima Soffici, gira in questi giorni per radio uno spot con un sottofondo musicale che dice: “Se hai pagato le tasse, bene. Se non le hai pagate, sappi che ti stiamo cercando”. Il problema è che gli evasori li trovano e li cacciano dentro. E per non sbagliare pubblicano le loro foto. Da noi la musica è diversa. Pagano sempre i poveri cristi, quelli con i redditi fissi. Il resto se ne frega. Mangia, evade e appena c’è un “ponte” utile va alle Maldive.

 

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