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Lettera da Roma

IL CRISTIANESIMO È UN FATTO

PAOLO CREMONESI - 20/06/2014

“…Come un bimbo nelle braccia di suo Padre…”. Le parole di papa Francesco rimbalzano dense nell’aria, ma chissà se questo frugoletto davanti a me che piange disperato per il caldo è in grado di apprezzarle?

Piazza San Pietro, scene di un’udienza del mercoledì in un tripudio di ombrellini colorati, Ipad, stendardi, cappellini, cartelloni improvvisati per non perdersi. A occhio e croce faranno trentacinque gradi ma la temperatura non scoraggia i trentacinquemila fedeli che già alle otto del mattino assediano gli ingressi di piazza del Santo Uffizio per poter entrare tra i primi.

Anche noi, complice un invito della delegazione Banco Alimentare, abbiamo guadagnato la decima fila del “settore sagrato” come recita il cartoncino, a sinistra dell’altare. In attesa dell’arrivo di Bergoglio, uno speaker dà lettura dei gruppi presenti in piazza. È un variegato elenco che spazia tra il colore, la fede, il no-profit, l’istituzione. Fotografa un’Italia che spesso i media non raccontano. Ci sono gli operai di Pomigliano d’Arco che regaleranno una ‘Panda’ al Papa, i detenuti lungo la via Francigena, i ciclisti ‘Mi so tuto’ sulle strade di San Francesco, le giovani coppie della diocesi di Oria, gli scout, i carabinieri, gli ex-sindaci del Trentino,la Guardiadi finanza, l’Associazione macellai, i calciatori del clero bavarese, l’Unitalsi. Sono italiani, californiani, coreani, africani, tedeschi, cinesi e francesi. Quando vengono nominati gli argentini la piazza si accende in un applauso formidabile.

Siamo seduti in una canicola africana già da un paio d’ore quando il Papa fa il suo ingresso, annunciato da un’ovazione, anticipando di mezz’ora l’inizio previsto per le dieci e mezzo. L’udienza del mercoledì è composta da un brano delle Scritture letto in sette lingue, la catechesi del Papa sul testo, una sintesi della stessa ancora in sette lingue, il Padrenostro, la benedizione estesa anche ai familiari a casa. Seguono i saluti personali di chi ha avuto accesso al settore riservato.

Se Benedetto XVI usava questo momento per presentare episodi della nostra storia cristiana (celebri i suoi ritratti dei primi discepoli e dei padri della Chiesa) e Giovanni Paolo II per sfoderare vere e proprie lezione di teologia (famose e ancora ineguagliate quelle sul corpo), lo stile di Bergoglio è più vicino a quello di Giovanni Paolo I. Dialogante, fatto di improvvisazioni, occhiate stupite e gesti a effetto con la mano. Basta osservarlo mentre interrompe di colpo la lettura dei fogli e guardandosi in giro domanda: “Io sono sicuro che se faccio adesso la domanda: quanti di voi siete fabbricanti d’armi? Nessuno, nessuno!”. Tutti guardiamo e ascoltiamo in silenzio. In piazza si sentono solo lo sventolio dei ventagli e gli scricchiolii delle seggiole sotto il sempre crescente numero di ‘oversize’. I malati vengono fatti spostare nell’aula Paolo VI per il troppo caldo. I fedeli, terminata l’udienza, si affollano alle transenne nella speranza di vederlo passare. Dopo quasi due ore tra preghiere e saluti e nonostante la leggera influenza che lo ha colpito, Bergoglio non si sottrae. Sorride e saluta. Cerca per primo quel contatto umano che tutti e ciascuno anelano.

E io penso a duemila anni fa quando la folla correva ad ascoltare Gesù sul Monte delle Beatitudini. Non c’erano i microfoni e Lui si sarà messo in cima a quel colle sulle sponde del lago di Tiberiade per farsi sentire. Le parole non saranno arrivate a tutti. Qualcuna intellegibile, altre no. Ma ai presenti non importava. L’importante era esserci. Vederlo, se possibile toccarlo.

Tra questo colonnato disegnato come un abbraccio pronto a stringere per poi rilasciarti lungo le strade del mondo, il cristianesimo è un fatto, non un pensiero. Oggi come allora.

 

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