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Cara Varese

AMICI RITROVATI

PIERFAUSTO VEDANI - 24/10/2014

Nella pattuglia dei fratelli di Varese che spronano la città destatasi dal sonno leghista, tanto profondo da sembrare una interminabile e pesante anestesia, ci sono un simpatico ribelle che da sempre non perde l’occasione di far fischiare il sasso come il balilla di Portoria e, degnissimo di stima e rispetto perché nemico della violenza, un ex degli anni dei sogni rivoluzionari della giovane sinistra. Sono Roberto Gervasini e Valerio Crugnola.

Sicuramente il mio rapporto con Gervasini si sviluppò per la propensione alla goliardia che nemmeno l’incarico di capocronista alla Prealpina riuscì a frenare. Infatti le molteplici stranezze, che avevano comunque il pregio di essere notizie, progettate e varate da “Jerry”, fantasioso e imprevedibile radicale, ebbero sempre adeguato spazio nelle cronache varesine dove noi cronisti in qualche modo si raccoglieva anche elementi che potevano costituire frammenti, schegge di una eventuale futura storia della città. Gervasini con ironia e buon gusto regolarmente interveniva quando anche a livello istituzionale per la soluzione dei problemi venivano fatte proposte fuorvianti se non deliranti.

La discussione su alcuni aspetti dell’utilizzo di piazza Monte Grappa e della validità del suo impianto architettonico per esempio si interruppe quando lo scatenato balilla nostrano teorizzò il dimezzamento della torre civica, attesa da un futuro come trampolino per liberi tuffi nella fontana.

A Gervasini devo comunque molto: ci eravamo trovati per caso proprio in piazza Monte Grappa quando, furente, mi parlò di una borsa piena di milioni che era passata di mano sostando per qualche minuto sulla scrivania di un noto professionista. Si trattava di una delle prime esazioni della tangentopoli varesina. Cominciai a scavare, ricevetti qualche avvertimento da persone che trasmettevano il loro messaggio con bonomia, con il sorriso sulle labbra e ovviamente negando tutto. La segnalazione in anteprima di Gervasini fu comunque molto utile, avrebbe permesso ai cronisti di non essere colti impreparati quando lo scandalo esondò.

Oggi Jerry con commemorazioni risorgimentali e duelli per salvare la città da discutibili progetti comunali combatte ancora la buona battaglia. Impossibile non seguirlo con attenzione e simpatia.

La storia ci dice che tutti i movimenti rivoluzionari, le grandi battaglie per la dignità dei lavoratori, sono nati negli Stati Uniti. A casa nostra, qui in Europa, le onde lunghe dei moti, delle lotte democratiche, spesso hanno visto come alfieri gli amici del Sol dell’Avvenire. Accadde anche nel 1968, poi negli anni successivi si sviluppò pure un furore collettivistico destinato ad avere nel terrorismo una coda di rara utopia e ferocia.

Negli anni della contestazione il nostro giornale non era amato da chi si riteneva “prigioniero politico” e qualche problemino l’abbiamo avuto, ma non da tutti.

Ci fu chi volle conoscerci meglio, esplorare il nostro mondo, capire posizioni, scelte editoriali, culto di una tradizione che qualche ruga obiettivamente la denunciava.

Fu così che due belle intelligenze, Valerio Crugnola e Luciano Crespi – la loro sarebbe stata una vita dedicata alla cultura e alla civiltà del rispetto – vennero in via Tamagno per conoscerci, per descrivere la nostra realtà. Fu un incontro molto interessante, del quale i due inviati speciali avrebbero riferito sul loro giornale con una misura e una precisione eccezionali. Negli anni ci saremmo rivisti in poche occasioni, ma il tempo non avrebbe intaccato la stima nei loro confronti. Luciano Crespi, architetto, oggi è preside di Facoltà alla Bicocca, Valerio Crugnola ha insegnato filosofia e ha riscoperto il gusto della politica: mai ha dimenticato il sano amore per la collettività dei suoi anni giovani.

A migliaia i varesini oggi hanno detto che i parcheggi-miniera ideati dal Comune e l’abbattimento, scongiurato, dei cipressi dei Giardini Estensi sono progetti inaccettabili. Jerry e Valerio li ho ritrovati, puntuali, nel pensatoio della piccola, sorprendente rivoluzione culturale che ha scosso la città da tempo anestetizzata. Nessun libretto rosso sventolato, semmai bandiere che ripropongono con forza il ritorno alla realtà di un tempo, all’amore per i giardini, per un verde ben diverso da quello di una parte politica che si è dimenticata di avere scelto questo colore come simbolo.

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