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Cara Varese

IL REGALO DI NATALE

PIERFAUSTO VEDANI - 28/11/2014

sfereFacendo il bilancio della mostra dedicata a suo padre Carluccio, architetto eminente che, anche a vantaggio della comunità, seppe coniugare al meglio attività professionale e iniziative culturali, il figlio Franco ha individuato nella fuga dei professionisti dalla res publica una delle cause della attuale crisi della città. Si tratta di una verità nota, di una situazione che ha precisi riscontri, ma meritano una puntualizzazione.

È vero che protagonisti delle professioni sono stati determinanti nei momenti della crescita collettiva; è pure vero che dobbiamo loro un notevole passato di scelte felici, ma è bene non generalizzare ed esagerare con i rimpianti perché nella nostra storia civica non sono mancati errori collettivi clamorosi che ancora oggi ci condizionano pesantemente. Richiamata l’attenzione sulla necessità di giudizi sereni soprattutto in questo momento e prendendo spunto dalle valutazioni di Franco Prevosti, oggi in pieno autunno civico, politico e amministrativo è possibile ricordare con giusta dose di simpatia piccoli particolari degli anni ruggenti vissuti a Palazzo Estense prima della notte di Tangentopoli, prima cioè della grande e motivata fuga dei professionisti dalla politica di casa.

Sì, furono proprio bei tempi. In un contesto fatto di confronto e di rispetto, tra l’altro trovò nuovi spazi anche la stampa. C’erano giornalisti di più testate di diverso orientamento, cresciuti tutti avendo un rapporto, magari non diretto, con un maestro dell’umorismo e della satira come Gaspare Morgione.

Con vignette e battute micidiali Morgione aveva fatto capire ai colleghi dell’informazione che con il sorriso o una risata si poteva contestare efficacemente o mettere in difficoltà messaggeri di nuove età o aspiranti costruttori di torri dalle problematiche fondamenta.

Alla vigilia di Natale l’incontro per lo scambio degli auguri tra i vertici delle varie piramidi amministrative del Palazzo venne aperto anche alla stampa. Era quello un momento clou dell’informazione locale e i giornalisti lo sottolineavano offrendo al sindaco un regalo. Era scherzoso, un dono molto allusivo, ma veniva sempre accettato, magari a denti stretti. Come quando ci fu un periodo in cui il Consiglio comunale aveva scoperto la grande politica, la battaglia ideologica: discorsi fiume che erano imitazioni di quelli del Parlamento, un vero tormento per chi doveva fare subito la cronaca della seduta.

Si doveva mandare un chiaro messaggio ai frangisfere. Fu così che, scovate le sfere dei vecchi cuscinetti che da ragazzi si usavano per i monopattini, i giornalisti prepararono un elegantissimo sacchetto in pelle da offrire al sindaco e a tutto il consiglio comunale. Con il dono un messaggio di accompagnamento breve, ben lontano da espressioni da caserma, ma comunque significativo, un grido di riscatto, di liberazione.

La “vendetta” sui consiglieri logorroici ebbe un finale non previsto dal copione: accadde quando, alle spalle di chi stava scuotendo il sacchetto garantendone la solidità del contenuto, si levò la voce di un santo uomo come il vescovo Citterio: arrivato inatteso pochi attimi prima, il presule chiedeva se si stesse facendo una lotteria. Probabilmente dono e discorsetto non sarebbero stati programmati in quella versione se la presenza del vescovo fosse stata prevista. Il cronista imbarazzatissimo non rispose, ma allargò le braccia per un affettuoso saluto mentre il vescovo veniva applaudito. I discorsi fiume sui problemi nazionali e internazionali sarebbero continuati.

Solo adesso sappiamo che quelli tutto sommato erano ancora tempi buoni per l’Italia e che a Varese si discuteva sempre di teatro, funicolari, viabilità ecc. Tanti anni dopo gli stessi problemi ci fanno ancora compagnia, ma i varesini almeno questa volta sembrano un tantino impazienti.

Se la nostra si presenta come una città ai primi segnali di risveglio, certamente non è più la stessa, l’Italia. Dove sulla satira dirompente e fustigatrice sembra prevalere l’umorismo. Che induce anche a riflessioni e sorrisi venati di malinconia.

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