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Attualità

MIGRANTI/2 DRAMMA DI UN’EPOCA

EDOARDO ZIN - 19/06/2015

accoglienza“Con i soldi dati ai migranti, potremmo costruire asili per i nostri figli”,  ha sentenziato Matteo Salvini. Ha ragione. Dovrebbe però aggiungere altrettanta dose di onestà nel dire che l’iniziativa educativa per i nostri figli si sarebbe potuta attuare anche con le risorse sprecate per aprire fantomatici ministeri al Nord o per sovvenzionare scuole bosine o per sostenere ben noti clan familiari.

“Che i migranti pieni di scabbia vadano ad abbracciare Renzi o la Boldrini!”, ha invitato lo stesso Salvini. Non ce n’è bisogno perché, prima delle istituzioni, i povericristi sbarcati sulle nostre coste hanno gettato le braccia al collo di persone che sono accorse in loro aiuto e la rogna non se la sono beccata, mentre il loro cuore, questo sì, è stato invaso da quel senso di umanità, impastata di compassione e di pietà, che sembra mancare al “lumbard” Salvini.

Siamo alle solite. Se si vuole risolvere il problema epocale dell’immigrazione occorre che esso sia gestito, cioè governato, così com’è stato fatto negli Stati Uniti, in Australia, nella vicina Francia, nel Regno Unito, in Danimarca, in Svezia, in Germania dove da anni gli stranieri si sono integrati nella comunità nazionale e concorrono con il loro lavoro, soprattutto in quello che gli autoctoni rifiutano, alla ricchezza del paese ospitante. In questi paesi le imprese edili e le diverse multinazionali hanno tutti gli interessi ad avere una fonte di manodopera a basso costo.

In Italia questo non succede perché, anziché dirigere i flussi migratori, cioè “facendo”, fino al 2012 i nostri governi si sono lasciati condurre dalle ciarlate di chi ha blaterato odio e rancore verso il diverso, di chi ha seminato paura, “parlando” non alla ragione, ma ai più bassi istinti.

Ci siamo lasciati condurre da chi ha proposto progetti inattuabili che non tenevano conto delle situazioni geo-politiche e perlopiù erano anticostituzionali e incompatibili con gli accordi internazionali che quegli stessi governi avevano contribuito a formulare e a sottoscrivere.

Sembra che i seminatori di odio provino piacere nel diffonderlo, mentre oggi c’è più che mai bisogno di sradicare questo sentimento che avvelena gli animi per costruire nel mondo già globalizzato dall’economia, il rispetto dell’uguaglianza fra tutti gli esseri umani.

Il cinismo può servire per raccattare qualche voto. Tutto può servire per chiudere la porta e garantire la sicurezza, così com’è accaduto in tempi lontani con il vallo di Adriano tra Inghilterra e Scozia, con la Muraglia Cinese e in tempi più recenti con il Muro di Berlino o con quello in Cisgiordania. Tutto può servire per preparare il terreno a soluzioni semplificatrici come i respingimenti in mare o all’allestimento di campi profughi sulle coste libiche.

La discordia tra Roma e la Libia ci può rimandare alle guerre puniche. Le operazioni di soccorso nel Mediterraneo, dove si sta caricando, con il suo immane prezzo di vite umane, la speranza, ci ricorda i boats people traboccanti di profughi vietnamiti salvati dalla preziosa opera allora svolta dal nostro Giuseppe Zamberletti.

Una sola cosa non è stata fatta: pensare prima di operare. Davanti alla pressione smisurata si scontrano due dimensioni: quella emozionale, romantica, buonista che sposa l’aspetto umanitario senza riflettere su ciò che essa comporta sul piano economico, sanitario, d’ordine pubblico e di sicurezza e quella normativa amministrata da precise leggi con strutture adeguate, flussi disciplinati.

È compito della politica coniugare questi due aspetti. La seconda dimensione deve essere animata dalla prima, ma il buon cuore non basta: occorre governare il fenomeno operando, non blaterando.

Nel 2014, 3.400 migranti sono morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. L’80% dei migranti approdati in terra italiana non sono clandestini: provengono dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Africa subsahariana, dalla Siria e dalla Libia, terre dove fame, miseria, guerra infuriano. Hanno dovuto lasciare il loro paese a causa delle difficoltà economiche o politiche. Giungono in una terra ospitale, ma plasmata dalla crisi economica sempre più accentuata. Non chiedono l’uguaglianza di diritti, ma hanno il diritto ad essere accolti.

La nostra Costituzione – all’art. 10 – riconosce “il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Nella nostra Carta fondamentale le due dimensioni – quella umanitaria e quella normativa – si sono abbracciate. Occorrerà solo rivedere le condizioni di legge per assicurare ai migranti la dignità che appartiene a ogni essere umano. Il peggior atteggiamento che possiamo avere verso questi nostri simili non è quello dell’odio, ma quello dell’indifferenza.

In stretta sinergia con le associazioni di volontariato, straordinario esempio di un’Italia solidale e piena di forza, è necessario che gli organi dello Stato differenzino le specifiche competenze in base al principio di sussidiarietà verticale: a chi spetta il soccorso in mare, a chi l’intervento immediato, a chi l’emergenza, a chi l’inserimento dei minori non accompagnati, a chi l’integrazione, a chi lo smistamento in altri paesi, a chi il rimpatrio coatto di coloro che non possono essere riconosciuti con lo status di profughi o di rifugiati politici.

Uno spazio per l’accoglienza dovrà essere creato dall’Unione Europea. Se non lo facesse, sarebbe la sua fine perché verrebbe meno alla solidarietà, pilastro della casa comune. Ci si può perdere tutti assieme, ma ci si può salvare tutti assieme. È dovere di ogni uomo condannare la tendenza a parlare dei migranti e degli immigrati solo sotto gli aspetti più nefandi e turpi di cui alcuni di loro si rendono colpevoli. È dovere dei governanti e dei mass-media spiegare, convincere, fornire dati esatti al fine di contrastare con la verità gli allarmismi blaterati da poca gente ottusa.

La Caritas, la Fondazione Migrantes, il centro Astalli sono gli esempi più noti che testimoniano la fedeltà della chiesa italiana al Vangelo. Però si può fare di più. Ci sono edificanti esempi di misericordia: conosco tre vescovi che ospitano nei loro episcopi gruppi di profughi, so di molti parroci che hanno aperto le porte di oratori, di canoniche da anni chiuse. Conosco un giovane trentenne che, lasciata nel cassetto la sua laurea in Scienze ambientali, dedica tutta la sua vita ad accogliere i nuovi arrivati e a insegnare loro l’italiano. Per un periodo, lasciata la sua famiglia, ospite delle famiglie dei suoi alunni, si è recato nei paesi islamici per imparare l’arabo. Ora, rientrato in Italia, si dedica all’istruzione e alla formazione professionali dei minori non accompagnati. Assieme ai suoi vecchi alunni, divenuti maggiorenni e pienamente integrati, con la vendita dei tipici sandali egiziani confezionati a mano e molto richiesti dal mercato, intende investire il ricavato della loro vendita nella formazione di quindici minori stranieri tra i 15 e i 18 anni provenienti dalle comunità di accoglienza.

È un semplice, ma non raro, esempio di solidarietà verso coloro che hanno scelto l’esilio in terra straniera non con la pretesa di portare qualcosa, né tantomeno per ricavarne vantaggi, ma solo per non poter essere ignorati come uomini e poter trovare la propria opportunità nella vita.

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