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Attualità

IL VALORE DELLA PARTECIPAZIONE

EDOARDO ZIN - 15/04/2016

partecipazione“Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non erano quelle che fossero meno care”- dice Alessandro Manzoni delle poche idee a cui era affezionata donna Prassede.

Ho pensato al grande lombardo leggendo l’editoriale “L’errore” di due settimane fa, a firma di Giuseppe Adamoli.

Egli riporta e commenta una frase dell’ex presidente regionale Formigoni a proposito dell’unità in politica dei cattolici. Si sarebbe portati a consigliare l’attuale senatore (di quale gruppo?) una minore ostinatezza nel confessare di avere torto e di dimostrare che lo scranno a Palazzo Madama l’ha portato ad essere “bonus vir”, cioè saggio. Poiché siamo nell’anno della Misericordia, gli perdoniamo volentieri questa sua mancanza, anche in assenza di un suo pentimento.

Richiamarsi, infatti, oggi all’unità in politica dei cattolici, anche all’interno dello stesso movimento ecclesiale, che, forse provvidenzialmente, anch’esso ha contribuito a incrinare è patetico. Quando i cattolici erano intruppati nella Dc, il pianeta viveva la “guerra fredda”, la lotta politica in Italia era cruenta, ma già in quei tempi si levavano voci profetiche che invocavano maggiore uguaglianza e giustizia (penso, ad esempio, a Mazzolari!), mentre altri cattolici militavano in partiti che rincorrevano gli idoli del libero mercato.

Il Concilio Vaticano II insegnò poi che il Vangelo non offre ricette politiche e che dalla medesima Fede possono discendere scelte politiche diverse. Ciò comporta una distinzione tra fede e politica: la prima, richiamandosi al decalogo del primo testamento e alle beatitudini del Vangelo, illumina l’azione politica, ma non può sostituirsi ad essa, la seconda è opera di tutti gli uomini, anche non credenti, chiamati a governare con la Costituzione in mano. Vangelo e Costituzione sono distinti, ma non disgiunti.

Ai laici cristiani spetta il compito di applicare in politica il giudizio della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa senza farne strumento politico, agendo a loro rischio e pericolo senza voler compromettere la Chiesa in scelte di parte.

Oggi, di fronte alla diaspora e all’insignificanza dei cattolici in politica, come si può riconoscere coloro che, pur operando in diversi schieramenti politici, traggono dalla buona novella del Vangelo e dall’insegnamento della Chiesa la linfa vitale che alimenta il loro agire? Si pone questa domanda lo stesso Adamoli nell’editoriale successivo a quello già citato e dal titolo: “Equilibrio”.

Credenti e non credenti devono essere coscienti che “fare politica” è servire l’uomo, non il partito o il movimento e, pertanto, compiere scelte che siano prioritarie per la difesa e la crescita della persona umana; è cercare il bene comune, cioè mediare tra interessi opposti, discernere, confrontarsi; è servizio, non potere.

Credenti e non devono essere coerenti con quanto hanno promesso senza cadere nel decisionismo che è dannoso perché talvolta realizza lo straordinario che può abbagliare, ma non essere necessario. Non devono cedere alla tentazione di idolizzare il leader, devono contrapporre all’antagonismo la condivisione, il confronto con i cittadini. Più che lanciare slogans e curare l’immagine, il politico accorto deve proporre idee e testimoniare convinzioni personali. Infine, si devono scegliere politici competenti non perché abbiano fatto fortuna con la propria impresa privata, ma perché “esperti in umanità”, capaci cioè di cogliere le necessità della gente, di amministrare il danaro pubblico con oculatezza e secondo le leggi, applicate nello spirito della Costituzione, servendosi di saggi funzionari e non di abili manovrieri.

L’equilibrio tra le diverse componenti di una coalizione per eleggere un sindaco sta tutto qui: servizio e non potere, consenso e non decisionismo, pensiero politico e non sterile attivismo, comuni orizzonti e non subordinazione al capopopolo di turno. Sembra che oggi l’equilibrio, che vuol dire anche moderazione, non sia più un valore. La smoderatezza di certi eventi, la sfrenatezza per contrabbandare come fatti culturali feste, manifestazioni urlate, rally e tour, per non parlare di mercatini, sembrano eccessi e non successi, organizzati a svantaggio dei valori di solidarietà, di fraternità, di rispetto reciproco Questi ultimi sono i segni di un passato, di un’ autentica cultura locale, che si manifesta nella dignità del lavoro, nel ricordo di chi ci ha preceduti, di vigore morale e di futuro che, soprattutto per i giovani, appare senza speranze.

Convergere su un candidato per sindaco significa anche questo: conservare e tramandare alle giovani generazioni le radici di un’autentica storia e cultura, chiamare a raccolta la gente per festeggiare o ricordare persone, date e luoghi senza i quali la città non avrebbe un’anima,

fare della cultura il cemento per mutare la popolazione in popolo.

In una coalizione, credenti e non credenti, di sinistra e di centro, cattolici e socialisti, liberali e ambientalisti stanno insieme perché ciascuno riconosce la parzialità, e quindi, i limiti della propria cultura.

L’antipolitica dilagante si combatte facendo partecipare tutti alla costruzione della città dell’uomo. La nostra democrazia è minata perché non c’è partecipazione. Se è vero che ogni nazione ha i governanti che si merita, forse è il caso di partecipare di più alla vita politica. Anche andando a votare.

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