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Società

LA GRANDE SORELLA

GIOIA GENTILE - 09/06/2016

2016Quando ho sentito la notizia ero a tavola, la forchetta a mezz’aria mentre cercavo di capire: il TG stava comunicando l’arrivo della “Grande Sorella”. Il Grande Fratello è un’entità asessuata – mi dicevo – che cosa significa declinarla al femminile? Poi la giornalista ha chiarito: si tratta di un reality della TV spagnola, che intende seguire il percorso spirituale di alcune ragazze che vorrebbero farsi suore. Allora la forchetta mi è cascata nel piatto e ho sentito la mia voce dire: “No, non ci posso credere!”. E invece sì. Il canale spagnolo La cuatro ha avuto la luminosa idea di mandare in onda un programma intitolato Quiero ser monja (Voglio farmi suora), che spia ogni istante della giornata delle aspiranti monache.

Ci ho messo un po’ a scrivere queste righe – infatti il reality è ormai giunto alla fine – perché sono rimasta senza parole,  mi venivano in mente solo domande. Che cosa può indurre le persone a mettere in mostra la parte più intima di sé? E come possono le suore accettare che ciò avvenga in un convento? Che autenticità ci può essere in una vocazione così platealmente esibita? A dire il vero la giornalista, forse anche lei incredula, aveva aggiunto: “Ma può darsi che sia una finzione”. Se così fosse, non sarebbe meno inquietante.

Ho cercato giustificazioni e mi sono detta: le ragazze forse lo fanno per denaro, siamo in un periodo di crisi economica, è difficile trovare lavoro, magari sono attrici che recitano una parte. Ma le suore? Attrici anche loro? E, in questo caso, quelle “vere” non hanno protestato? Meglio non approfondire troppo. E soffermarsi invece sulla questione principale: il successo di simili programmi. È  evidente, infatti, che se  l’audience non fosse alta a nessuno verrebbe in mente di mandarli in onda. E dunque: che cosa spinge le persone a intrufolarsi nella vita degli altri, a frugare nel fondo dell’animo umano?

Trovo che ci sia qualcosa di osceno in questo atteggiamento voyeuristico, un’offesa al pudore. Perché pudore, a mio avviso, non significa tanto velare la nudità fisica, quanto piuttosto evitare di mettere in mostra la propria nudità interiore ed evitare di violare quella degli altri, rifiutarsi di sottoporre i sentimenti, le emozioni, le convinzioni dell’essere umano alla curiosità malsana, alla radiografia mediatica.

Non riesco a capire le motivazioni di coloro che seguono programmi televisivi in cui vengono esposti i drammi altrui, quale pulsione li guidi in gita turistica sui luoghi dei disastri, con quale coraggio possano  farsi un selfie sullo sfondo della Costa Concordia incagliata o andare a visitare il punto esatto dove è stato rinvenuto un cadavere. Mi  sfugge la logica dell’apparire e del desiderio di essere sempre dentro la vita degli altri, che sono poi le due facce di una stessa medaglia. E soprattutto  trovo vergognoso che i media assecondino e sfruttino questi atteggiamenti, perché se è vero che non viviamo in uno Stato etico e che i mass-media non devono educare – men che meno quelli privati – è pur vero che si potrebbe avere una società migliore se si privilegiassero la bellezza e il rispetto. E il paradosso è che non siamo mai stati tanto esposti alla curiosità altrui come da quando esiste una normativa sulla riservatezza.

No, non ho ancora trovato risposte. E quelle che ho trovato sono così deludenti da provocarmi solo indignazione.

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