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Presente storico

I DUE GARIBALDINI

ENZO R. LAFORGIA - 16/09/2016

Il Garibaldino della Caserma Garibaldi

Il Garibaldino della Caserma Garibaldi

Ho appreso, leggendo il quotidiano «La Prealpina» del 13 settembre scorso, che un gruppo di appassionati cultori delle memorie locali hanno avuto la possibilità di visitare l’interno della ex Caserma Garibaldi di Varese. Il giornale riferiva dell’emozione dei visitatori al cospetto della originale versione in pietra del monumento al Cacciatore delle Alpi, la cui copia in bronzo è collocata nell’attuale piazza del Podestà, nel centro cittadino. E l’emozione è stata tale, che gli stessi auspicherebbero che quella prima versione in pietra fosse più degnamente collocata e “visibile a tutti”.

Considerata la curiosità che l’incontro con il monumento del Buzzi ha suscitato e gli auspici espressi dai recenti visitatori, non è forse inutile riproporre la storia di quest’opera, anche per far conoscere ai più le ragioni per le quali di Garibaldini in Varese ve ne sono addirittura due.

Mi permetto di intervenire su questo tema, non perché io sia uno storico di professione (sono solo un modesto insegnante, mentre gli storici pare che ormai dilaghino dappertutto). Mi è capitato, tuttavia, di occuparmi di questo nostro monumento nel 2011, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Per tale circostanza, l’Università degli Studi di Pavia promosse un convegno di studi dedicato alla monumentalità pubblica risorgimentale in Lombardia. A me, invitato a partecipare all’iniziativa, fu affidato il compito di ricostruire, secondo un protocollo definito dal comitato scientifico organizzatore, la storia di un monumento varesino. La mia scelta ricadde per l’appunto sul cosiddetto Garibaldino di cui sopra (gli atti del convegno furono poi pubblicati in un bel volume curato dalla professoressa Marina Tesoro, La memoria in piazza. Monumenti risorgimentali nelle città lombarde tra identità locale e nazionale, Milano, Effigie, 2012).

Già nel novembre del 1859, la Congregazione provinciale di Como, da cui dipendeva allora il circondario di Varese, aveva accolto la proposta del deputato varesino, l’ingegnere Giuseppe Speroni, di finanziare la realizzazione di due monumenti da collocare a Como e a Varese e dedicati ai fatti d’arme consumatisi nel maggio precedente a San Fermo e a Biumo (luogo in cui si svolse la cosiddetta battaglia di Varese). Tuttavia, nel maggio del 1863 del “patrio monumento” varesino ancora non v’era traccia. Fu il foglio politico settimanale di Varese, La Libertà, nato in quello stesso anno, a ricordare l’impegno preso e, di fronte al silenzio dell’amministrazione municipale, il sacerdote Giuseppe Della Valle annunciò dalle pagine di quel giornale l’imminente pubblicazione di un suo volume dedicato alla battaglia di Biumo: il ricavato della vendita del libro sarebbe stato destinato alla realizzazione del monumento. L’iniziativa riscosse successo e fu aperta una pubblica sottoscrizione (l’imprenditore cartario Luigi Molina annunciò di voler concorrere all’erezione del monumento offrendo, “al prezzo di fabbrica”, la materia prima occorrente per la pubblicazione del volume di Della Valle).

Il Comune varesino si vide così costretto ad istituire un’apposita Commissione per la realizzazione dell’opera. Ma già allora, i “tempi tecnici” degli uffici pubblici erano misurati con orologi particolarmente lenti e affaticati. Dopo un anno, nel giugno del 1864, i varesini vennero a sapere che la Commissione avrebbe fatto conoscere molto presto l’esito del suo lavoro. Il “molto presto”, sempre calcolato col ritmo lento della nazionale burocrazia, equivalse ad un anno…

Il 26 maggio del 1865, in occasione quindi dell’anniversario della battaglia garibaldina, fu resa pubblica la deliberazione del Consiglio comunale di erigere un monumento commemorativo nel luogo in cui si era svolto il combattimento e cioè in Biumo Inferiore, nei pressi della Chiesa di San Cristoforo (successivamente demolita), “in aperta campagna”. All’annuncio fece seguito il bando di concorso, nel quale si precisò, tra l’altro, che il monumento avrebbe dovuto essere realizzato in pietra “di qualità non inferiore alle migliori cave di Bren[n]o e di Viggiù”. L’opera avrebbe dovuto essere ultimata entro il 20 maggio del 1866.

Il 1° dicembre del 1865, la Commissione, composta dallo scultore Vincenzo Vela, dal pittore Giuseppe Bertini e dall’ingegnere architetto Giacomo Cattaneo, rese noti il risultato dei lavori e il vincitore del concorso. Il bozzetto prescelto risultò appartenere allo scultore Luigi Buzzi Leone di Milano, ma originario di Viggiù. Il Buzzi era già uno scultore affermato. Tra le sue opere, ancora oggi si possono ammirare le due statue colossali, al centro delle quali è collocato un orologio e intitolate La Notte e il Giorno, che sormontano la facciata del palazzo posto alle spalle del Duomo milanese, in quella che un tempo era la piazza Camposanto.

Il progetto scelto dalla Commissione proponeva, su un piedistallo monumentale, la figura di un Cacciatore delle Alpi che innalza la bandiera della Vittoria. Ai piedi della figura, sui quattro angoli, sarebbero state collocate altrettante palle di cannone austriache, raccolte tra quelle che il feldmaresciallo Karl von Urban scaricò sulla città di Varese, per punirla dell’entusiasmo con cui aveva accolto Garibaldi.

Nella primavera dell’anno successivo, la Commissione e l’artista stabilirono di collocare il monumento nel centro cittadino, nel piazzale delle Pubbliche Scuole (e cioè, l’attuale piazza Cacciatori delle Alpi, dove oggi ha sede il Tribunale).

Il 26 maggio del 1867, in occasione della consueta cerimonia dedicata alla battaglia di Varese, fu finalmente inaugurato il monumento tanto atteso.

La pietra della cava di Brenno, tuttavia, non doveva essere di eccellente qualità. Dopo appena un quarto di secolo, la statua iniziò a mostrare evidenti manifestazioni di sofferenza. Fu così che tra i giovani studenti delle locali scuole tecniche, che erano soliti riunirsi in un piccolo caffè del centro cittadino, non lontano dalla piazza in cui era collocato il Garibaldino, sorse l’idea di promuovere la fusione in bronzo della statua. A tal fine gli studenti costituirono l’associazione Voluntas alla fine del 1893. Vi aderì lo stesso scultore Buzzi. L’associazione continuò la sua attività sino al 1896, data in cui fu sostituita da un comitato speciale, il Comitato esecutivo «Voluntas», che portò a termine l’iniziale progetto. La figura del Garibaldino, nella nuova veste bronzea, fu questa volta trasferita in una sede più centrale e più prestigiosa: in quella piazza Podestà, che ancora si affaccia sul corso principale, a quell’epoca intitolato a Vittorio Emanuele II, davanti all’antica sede del Municipio, lì dove Carlo Carcano, che guidava allora la città, aveva ricevuto, abbracciandolo, Garibaldi (e dove poi avrebbe trovato ospitalità la storica sede del partito della Lega Nord). La cerimonia inaugurale del nuovo monumento si svolse il 26 maggio del 1901 e le cronache parlano di una straordinaria partecipazione popolare, in una città imbandierata. Quello vecchio e sofferente, nella pietra della Valceresio, fu messo a riposo in caserma.

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