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Cultura

SE UNO SCRITTORE MUORE

RENATA BALLERIO - 11/11/2016

??????????Sarà la malinconia novembrina, ma quasi sicuramente ognuno di noi ha una sua Spoon River dell’anima, mosaico di ricordi personali intrecciati a una memoria collettiva, anche se talvolta silenziosa.

Il 2016 è stato punteggiato dalla morte di molti volti noti della cultura italiana: da Eco a Scola, da Fo a Luciano Rispoli. È quindi giusto ricordare anche uno scrittore, definito importante nei necrologi seguiti alla sua morte avvenuta a settembre, ma non a tutti noto, Ermanno Rea, perché a volte penalizzato per avere lo stesso cognome dell’autore di Ninfa plebea, Domenico, morto nel 1994.

Napoletano di nascita, visse tra Roma e Milano, giornalista e scrittore, nonché fotografo e attivo politicamente fino alla fine, in una sapiente osmosi di scrittura indagatoria, densa di etica letteraria, ha affrontato temi provocatori, come la chiusura degli stabilimenti di Bagnoli (problema non solo partenopeo ma italiano) o il mistero legato all’improvvisa e misteriosa scomparsa dell’economista Caffé, studioso della cosiddetta economia del benessere, attenta anche alle fasce più deboli. Senza cadere nella trappola di presunti canoni letterari, per rispondere alla disarmante domanda circa quali libri avere in biblioteca, i testi di Ermanno Rea aiutano a scoprire, grazie alla sua esposizione chiara, due vitali forze formative per uno scrittore (e diciamo pure per chi è curioso di vita) : la politica e l’immenso amore per la lettura.

Ricordarlo significa sentire semplicemente la sua voce, senza filtri interpretativi, permettendo che le parole da lui scritte ci interroghino in quel dialogo a distanza che possiamo e dobbiamo costruire con gli scrittori e fare i conti con la nostra coscienza. Se è limitante fissare nella nostra memoria soltanto alcune pagine e – per lo più – solo di alcuni libri, è comunque necessario per avere input orientativi per un approccio di scoperta. di una narrazione fortemente civile, qual è quella di Rea.

Nel 1995 pubblica (vincerà il premio Viareggio) Mistero napoletano, con un sottotitolo significativo Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda. È la storia di Francesca, giornalista dell’Unità, suicida il venerdì santo del 1961. Se pensiamo che quel 1961 a Napoli sia lontano (e lontano è un partito comunista stalinista e una Napoli molto condizionata dagli Americani), dobbiamo, però, renderci conto che la storia privata, oggetto dell’indagine di Rea, è stata tradotta- come si legge in copertina- “ in una storia collettiva di di una intera classe politica, di una generazione, delle sue speranze e dei suoi valori”. Memorabili sono le riflessioni con cui vengono rappresentate le differenze profonde tra due protagonisti del testo: Renzo e Cacciapuoti.

C’era qualcosa che li differenzia
va profondamente, oltre alle idiosincrasie personali e alle incompatibilità di carattere, qualcosa che riguardava il modo di concepire, da parte di ciascuno, l’impegno politico: Renzo credeva, come altri, alla forza del confronto dialettico delle idee”.
Renzo, innamorato della democrazia, contava nel partito come il due di picche, mentre Cacciapuoti era nel partito il potere. Sono ritratti attuali e questo basta per amare Ermanno Rea, che ha come Fausto in Il sorriso di don Giovanni del 2014 il coraggio di comunicare. Protagonista del romanzo-saggio, grande atto di amore verso la lettura, è Adele, adolescente narrante. Ella afferma : ”Il fatto è che io i libri li vivevo dal di dentro ( adesso non è più così: la maturità rende molto più distaccati) spesso mi intrufolavo nelle trame. Mi facevo io stessa personaggio dell ‘intreccio. Per carità, non di primo piano, personaggio secondario, semplice comparsa, ma con la tendenza a correggere il corso degli avvenimenti, soprattutto quando l’autore cominciava a sfumare di grigio la vicenda, a sospingerla verso quel cieco orizzonte che si chiama pessimismo”. Ermanno Rea, che è Adele, aiuta proprio in questo a guardare in faccia la realtà, con occhi diversi, invitando a non cadere nel pessimismo, ad avere in un mondo (forse solo sognato) affratellato dai grandi valori del cuore e dell’intelligenza., poetici sgomenti.

Scrive Rea: “O Dio, mi dico ogni tanto, che cosa fanno i romanzieri mentre la casa brucia…”. E che cosa pensiamo noi quando muore uno scrittore?

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