Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Stili di Vita

VENIRE AL MONDO

VALERIO CRUGNOLA - 23/12/2016

concepimentoOgni essere vivente è un individuo singolare. Ogni individuo nasce e muore, ha un’origine e una fine. Tutti gli organismi vengono dal nulla e nel nulla finiscono. Gli individui umani non hanno uno statuto speciale rispetto agli altri organismi. L’esistenza è finitudine senza rimedio e senza un Altrove da cui discenda o a cui torni. Veniamo sospinti nel mondo per scelta altrui e presto o tardi ne usciamo perché, come ogni altro vivente, siamo predisposti per la morte.

Tale predisposizione è indispensabile alla vita. Un mondo popolato di esseri immortali non è desiderabile. Nessun individuo di una qualche specie animale o vegetale, giunto ad un certo grado di crescita, può sopravvivere senza più mutare, senza esporsi all’invecchiamento o ai guasti che ledono gli apparati biologici. Il mito di Titone, condannato a invecchiare senza morire, è eloquente. In un mondo di immortali non avremmo né potremmo concepire – al più utopizzare –, trasformazione, storia, rinnovamento e vita quali normalmente intendiamo. Un habitat di risorse non illimitate ci condannerebbe a un inferno perenne. Saremmo costretti a desiderare la morte come liberazione da una sopravvivenza insopportabile. Dobbiamo far posto agli altri. Conviene anzitutto a noi stessi.

Siamo biologicamente fatti per riprodurci, anche quando scegliamo di non generare figli o non siamo in grado di farlo. Oggi le biotecnologie rendono possibili comportamenti e scelte inusuali, alle quali non abbiamo ancora preso bene le misure; ma in se stesso l’atto del puro nascere resta il medesimo di qualche millennio fa. È sufficiente che durante un rapporto sessuale uno tra i tanti spermatozoi raggiunga uno tra tanti ovuli, e che la gravidanza e il parto non incontrino problemi insormontabili. La vita biologica è il frutto di una lotteria combinatoria. Ogni individuo è un unicum anzitutto in senso matematico e probabilistico.

Gli esseri umani, gli altri animali e le piante replicano un patrimonio genetico di specie che è frutto di processi evolutivi che non siamo ancora in grado di descrivere e decifrare scientificamente in modo compiuto. Nello stesso tempo nessuna replica è uguale ad un’altra. I processi riproduttivi escludono la possibilità di copie; e se così anche fosse, una copia perfetta sarebbe diversa da un’altra. Due gocce d’acqua sono uguali ma non identiche, per il solo fatto di essere due.

Il mondo ci preesiste e persiste dopo di noi. Lo spazio e il tempo sono pertinenza di questo mondo. A noi ospiti è dato occuparne una porzione che Jaspers chiama «tempo vitale». Ma lo stesso mondo è, come i suoi ospiti, un «individuo» unico, irripetibile, finito e destinato alla morte. Quel che chiamiamo universo è scaturito da una concatenazione di eventi a basso grado probabilistico e non determinabili a priori. Il tempo e lo spazio vitali del mondo che ci ospita sono incommensurabili ma non infiniti. Il tempo e lo spazio entro i quali possiamo espanderci, non ne sono che l’infinitesimo di un infinitesimo.

Senza venire al mondo nulla è possibile. Ogni possibilità si concretizza in una determinazione. Gli esseri umani incontrano il tempo come formazione storico-sociale contingente. In origine non ne abbiamo disponibilità; ma ne abbiamo presto coscienza e ci volgiamo al futuro come progetto e come speranza. Una volta sospinti nel mondo, siamo esposti alla scelta e alla libertà. Il paradosso della libertà che ci costituisce è che non possiamo evitare di esercitarla. La libertà è più o meno ampia o ristretta a seconda del campo di possibilità che abbiamo realisticamente a disposizione. La libertà respinge e insieme schiude opportunità all’esistenza. Richiede scelte, prese di posizione, assunzioni di responsabilità, senza poterci offrire una compiuta certezza circa i risultati delle nostre scelte. Dobbiamo imprimere alla vita una molteplicità di fini contemporaneamente, spesso in modo ripetitivo, senza essere certi di poterli conseguire, se non altro tutti insieme. Ma il tempo e lo spazio del loro compimento non sono identici né ugualmente prevedibili.

Il futuro è un non essere nella forma dell’attesa: il non-essere di ciò che attendo, e la possibilità di non-esserlo. Questa doppiezza suscita in noi trepidazione, uno stato di angoscia mista a speranza. Condizione tipica dell’uomo, l’angoscia mostra come nessun finalismo possa trascendere l’esistenza e vincere la morte; reciprocamente, nessun convincimento finalistico più sospendere o porre tra parentesi l’angoscia che ci accompagna.

Siamo per la morte e siamo nello stesso tempo per la libertà. Non vi è contraddizione in questo duplice destino. L’irreversibilità del tempo, che già sperimentiamo da vivi, culmina nella morte con la fine di ogni possibilità. Tuttavia siamo chiamati a farci carico del nostro stare nel mondo figurandoci una continuità tra passato e futuro. Il cumulo di tradizioni selezionate e vagliate dall’esperienza collettiva ci aiuta nell’impadronirci della nostra vita, mentre mettiamo a disposizione le nuove acquisizioni per la vita delle generazioni a future. Solo in apparenza la rappresentazione della morte costituisce un potenziale impedimento alla nostra assunzione di responsabilità. La vita è generatività, ricreazione continua, esplorazione di strade, apertura al futuro. La positiva determinazione della vita vince la negatività assoluta della morte. Come la morte, anche la libertà si accompagna all’angoscia. La scelta è onerosa, implica rinunce e ha esiti incerti. Ma la scelta è possibilità, e la possibilità è anzitutto il determinarsi intenzionale di un’affermazione.

Ha torto Sofocle quando scrive che sarebbe meglio non essere mai nati, e una volta nati lasciare al più presto la vita. Non vi è meno morte se una vita è più lunga. La morte è assenza, privazione assoluta. Prima e oltre la soglia della temporalità vi è il non essere assoluto. Nondimeno la vita nella sua temporalità è la sola positività possibile. Qui entra in gioco la storicità del nascere.

L’affermatività della vita umana è resa possibile non da una libertà metafisica, ma da un insieme di ordinamenti sociali, giuridici e politici, di sistemi valoriali, di processi di apprendimento, di attività produttive, di tecnologie disponibili, di discipline emotive e di «culture» che ci accolgono e accompagnano nel mondo. Il mondo è predisposto ad accoglierci grazie a una dotazione millenaria in continua trasformazione. Almeno nei primi anni di vita, l’accoglienza fa perno su chi è affettivamente prossimo. A nostra volta, come apparato biologico, siamo predisposti per essere accolti nel mondo e divenirne attivamente parte. La celebre espressione heideggeriana circa il nostro venire «gettati nel mondo» come status primario dell’esistenza è inadeguata a cogliere questa accoglienza.

Come qualunque specie animale, nasciamo accompagnati da figure preposte a proteggerci, a nutrirci, a curarci, a guidare i processi di apprendimento. Diversamente dagli animali, le figure che ci accolgono operano da millenni entro un habitat molto complesso, sovraordinato, non rigido, né naturale né prestabilito. L’accompagnamento delle istituzioni sociali potenzia l’accoglienza affettiva e la sostituisce là dove questa non può spingersi. Nel trentennio 1945-1975 – l’«età dell’oro» della storia umana – l’abbinamento tra espansione produttiva, democrazia liberale e welfare State ha facilitato enormemente le possibilità di accompagnamento sociale. La stessa sfera affettiva ne ha tratto vantaggio. Non a caso il ‘900 è stato anche definito il «secolo del bambino».

La cura familiare e comunitaria prestata ai nuovi nati è stata sempre più alta. È lecito chiedersi: per quanto ancora? Quel quinto dell’umanità che ha attraversato l’età dell’oro vive una contingenza economica e una contrazione di democrazia che penalizzano fortemente i giovani fino a negare loro l’idea stessa di poter avere un futuro migliore o eguale a quello dei padri e addirittura dei nonni. I paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina non solo non suscitano modelli di sviluppo alternativi, ma nel loro impulso alla crescita peggiorano i nostri in termini di ingiustizie e diseguaglianze, di carenza di protezioni sociali, di consumo esasperato dell’ambiente, di eccessiva pressione demografica, senza avere maturato nell’esperienza storica forme di democrazia e di tutela dei diritti comparabili alle nostre. Il restante quinto dell’umanità è oggetto di spoliazioni da parte di élites globali senza scrupoli, di mire imperiali, di catastrofi ambientali, di violenza diffusa e di guerre. Un numero sempre più esiguo di ricchi condanna i più poveri ad essere sempre più poveri.

Il pianeta nel suo insieme soffre una grande carenza di opportunità. Nascere resta sempre una lotteria: un privilegio sempre più per pochi e una condanna per tutti gli altri a una vita di bassa qualità anche quando non misera. Di tutte le ingiustizie, quella relativa alla nascita è la più odiosa. Non c’è alcun merito nell’essere nati nel privilegio, non c’è alcuna colpa nell’essere nati nell’indigenza. La responsabilità che grava su tutti gli esseri umani temporaneamente viventi, quale ne sia l’età, è di adoperarsi per uno scambio di giustizia nel succedersi delle generazioni che mitighi il più possibile l’iniquità di questa lotteria. Senza equità, il desiderio di generare consapevolmente si appanna; e i sistemi di accoglienza che abbiamo predisposto rischiano di incepparsi. Se vogliamo la vita dobbiamo volere la giustizia. Il resto è ipocrisia. Se non vogliamo dare ragione a Sofocle, non abbiamo altro tempo da perdere.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login